Site icon ALESSANDRO SICURO COMUNICATION

L’ARTE SUBLIME DEL DUOMO DI SIENA E LE SUE “TARSIE” E’ DI NUOVO DISPONIBILE

SIENA E IL DUOMO

Il pavimento scoperto, che evento!

Una stupenda occasione da non perdere, la visita al duomo di Siena. Anche quest’anno, si è deciso di scoprire le preziose tarsie (pavimenti intarsiati a mosaico con preziosissimi marmi da artisti incantati del livello di Domenico di Bartolo, “il Sassetta”  (Stefano di Giovanni di Consolo),  Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi, e dall’umbro Bernardino di Betto detto il Pinturicchio. I temi delle opere, inaspettati per un ambiente ecclesiastico, lasciano pensare alla tendenza degli artisti dell’epoca di rivelare al mondo temi esoterici di conoscenze e antiche saggezze custoditi da alcuni eletti come Leonardo da Vinci. Tra le più evidenti, la raffigurazione di Ermete Trismegisto datore di conoscenza, il tre volte reincarnato, e discendente di Thoth l’Atlantideo. Un viaggio nell’arte dunque e nelle sue tecniche piu’ virtuose, ma anche una rielaborazione della comunicazione visuale lasciata ai posteri da questi artisti e una rielaborazione dei codici  iconografici che questi antichi saggi volevano lasciarci decifrare.

Un esempio del “codice iconografico” trasmessoci dai grandi maestri del passato:

Curiosità, tra storia e leggenda:

Il DUOMO DI SIENA:  FEDE CRISTIANA MA ANCHE ERMETISMO E ALCHIMIA ?

Come avrete letto in centinaia di siti (o libri) il Pavimento del Duomo di Siena, secondo il Vasari (1568), era il «più bello, grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto». In effetti è spettacolare. È interamente ricoperto da più di 60 “Pietre Tassellate” realizzate tra il 1369 e il 1547 da oltre quaranta artisti.

Anche per il Pavimento del Duomo di Siena, come per tutte le Opere d’Arte esistono sia spiegazioni Accademiche, che legittime interpretazioni Esoteriche, soprattutto per quanto riguarda le Tarsie marmoree  realizzate tra il 1482 e il 1505 sotto la supervisione del Cavaliere Spedaliere Alberto Aringhieri (Rettore dell’Opera), ispirate senza ombra di dubbio all’Ermetismo Neoplatonico di Marsilio Ficino.

Vi sono però  anche teorie un po’ più fantasiose, come quella di Arrigo Pecchioli che nel 1982 ha scritto un libro intitolato i Tarocchi del Duomo di Siena, ipotizzando che tra le immagini delle Tarsie del Pavimento vi fossero nascosti i 22 Arcani Maggiori.

Il libro si apre con una sorta di racconto onirico le cui allegorie “tradiscono” l’appartenenza alla Libera Muratoria dell’Autore. Si tratta del Viaggio iniziatico di un Cavaliere all’interno del Castissimum Templum della Vergine, alla ricerca della Luce, attraverso un labirinto di immagini costituite da Tappe Marmoree che rimandano ai Tarocchi, al Cristianesimo Esoterico, alla Massoneria, all’Ermetismoe al Ciclo Cavalleresco del Graal. Il Cavaliere del racconto potrebbe essere l’Aringhieri, ma forse l’intento dell’Autore era che ognuno di noi desiderasse immedesimarsi in questo peregrino, percorrerendo insieme a lui “il Sentiero iniziatico dei Tarocchi del Duomo di Siena”, che il libro si appresta a svelarci.

Il Libro prosegue quindi con stralci di Storia Senese, riguardanti i Templari, gli Spedalieri, i Maestri della Pietra, la leggenda di San Galgano e la presenza del SATOR su una delle facciate del Duomo. Viene poi affrontato il significato esoterico e iniziatico dei Tarocchi attraverso le parole di famosi esoteristi che dedicarono la loro attenzione a questo argomento (OuspenskyCourt de GébelinEliphas Levi,Giuliano Kremmerz, ecc.). Infine vengono citate 3 notizie storiche che legano Siena ai Tarocchi:

1) «la più antica notizia storicamente accertata relativa ai Tarocchi è contenuta in un manoscritto senese dovuto a Pippozzo di Sandro e intitolato Il Trattato del Governo della Famiglia dell’Anno di Grazia 1299»;
2) «il più antico e preciso riferimento al gioco dei Tarocchi è contenuto nel volume di Girolamo Bargagli Dialogo de’ Giuochi che nelle Vegghie Sanesi si usano di fare, del 1572»;
3) «secondo alcuni studiosi il mazzo del Mantegna, sarebbe stato addirittura ideato da Enea Silvio Piccolomini, Pio II, allorchè , insieme al Cardinale Bessarione si trovava a Mantova ».

A questo punto l’Autore è pronto ad affermare che Siena è «la più antica e valida depositaria della Tradizione ermetica dei Tarocchi» e di conseguenza i 22 Arcani Maggiori non possono non trovarsi  nel Pavimento del Duomo di Siena tenendo conto che «una radicatissima tradizione vuole che il gioco dei Tarocchi sia stato “portato” in Europa, dall’Asia o dall’Egitto, dai Crociati in generale, ma soprattutto dai Cavalieri del Tempio» e come abbiamo visto all’inizio Siena vanta una ben documentata Tradizione Cavalleresca, (la Spada nella roccia di San Galgano, la presenza di Templari e Crociati), legami storici con i Tarocchi e non ultima la presenza all’ingresso del Duomo della tarsia di Ermete Trismegisto, custode della Sapienza degli Egizi condensata nella «Legge Smeraldina delle Lame d’Oro dell’Antico Egitto» di cui parlò Gébelin nel suo libro Mondo Primitivo del 1773.

La Terza parte del Libro è dedicata ai 22 Arcani e quelle che seguono sono le attribuzioni proposte dall’Autore:

I – Il Mago – Ermete Trismegisto
II – La Papessa – La Misericordia
III – L’Imperatrice – La Fortezza (secondo me più adatta al Tarocco della Forza a causa della Colonna)
IV – L’Imperatore – L’Imperatore Sisgismondo (coi suoi ministri)
V – Il Papa – Mosè con le Tavole delle Leggi
VI – L’Amore (sic!) – L’Allegoria della Fortuna nella Tarsia del Colle della Virtù (Forse per la volubilità dell’amore?)
VII – Il Carro –  Il Profeta Elia sul carro di fuoco che ascende al Cielo
VIII – La Giustizia – La Giustizia
IX – L’Eremita –  il servitore Abdia che porta al Re Acab un messaggio di Elia.(Assolutamente discutibile e forzato)
X – La Fortuna – La Ruota della Fortuna
XI – La Forza – L’Aquila Imperiale dell’omonima Tarsia
XII – L’Appeso – Assalonne ucciso con 3 lance e impiccato per i capelli
XIII – La Morte – Sansone che fa strage dei filistei a colpi di mascella d’Asino.
XIV – La Temperanza – La Temperanza
XV – Il Diavolo – Il Drago nella Tarsia delle Città alleate.
XVI – La Torre – L’Elefante con la Torre sul dorso nella Tarsia delle Città alleate
XVII – Le Stelle – Personaggio femminile di una delle Tarsie delle Storie di Mosè.
XVIII – La Luna – La Caduta di Golia.
XIX – Il Sole – Il Re Giosuè e il Sole
XX – Il Giudizio – Tomba scoperchiata nella Tarsia di Giosuè che vince gli Amorrei.
XXI – Il Mondo – La Prudenza
0 – Il Matto – David Giovinetto affronta Golia 

(Per vedere le immagini potete consultare questa pagina di Wiki)

Conclude la serie dei 22 Arcani l’identificazione dei 56 Arcani Minori così da poter allegare al libro un mazzo di tarocchi completo. Per i primi 10 numeri sono state utilizzate le 10 Sibille, mentre per le figure del Fante, del Cavaliere, della Regina e del Re, sono state adottate le immagini di un Fante tratto dalla Tarsia della Strage degli Innocenti, un Cavaliere tratto dalla Tarsia della Storia di Giuditta, la rappresentazione della Saggezza seduta sul Colle della Sapienza, tratta dall’omonima Tarsia e infine Re Erode in trono tratto sempre dalla Tarsia della Strage degli Innocenti.  Per quanto riguarda, invece, i Semi delle “carte”  sono stati scelti i simboli del “Pastorale Cistercense” per i Bastoni, la “Coppa del Tempio” per le Coppe, la “Spada di San Galgano” per le Spade, il “Sanese d’oro” per i Denari.

Il Pecchioli crede, che i 22 Arcani siano stati volontariamente posti all’interno del Duomo, ma di certo, con più di 60 tarsie e centinaia di personaggi allegorici a disposizione, ognuno è libero di vederceli, se si mette a cercarli. Il libro del Pecchioli merita comunque attenzione da parte degli Studiosi di Esoterismo e dei Collezionisti di Mazzi di Tarocchi, per l’idea originale, la ricerca storica, l’aneddotistica e le citazioni. Per chi fosse interessato il testo è stato ripubblicato due anni fa dalla Betti Editrice .

_________________________________________________________

L’ARTICOLO:

L’Italia è talmente ricca di opere d’arte che per godersi sublimi capolavori non è neppure necessario alzare lo sguardo da terra. Noi italiani, modestamente, possiamo infatti vantare i pavimenti artistici più belli del mondo. Tutto il Bel Paese, da nord a sud, è disseminato di meraviglie rasoterra, dalla basilica patriarcale di Aquileia alla cattedrale di Otranto, dalla Villa del Casale di Piazza Armerina alle Domus dell’Ortaglia di Brescia, passando per il Museo Tamo di Ravenna e per le fantasie marmoree dei maestri Cosmati nelle chiese e basiliche di Roma. Ma potremmo anche aggiungere gli spettacolari pavimenti delle chiese di Venezia e quelli estratti dagli scavi di Pompei e di Paestum. Il pavimento «più bello, grande e magnifico che mai fosse stato fatto in Italia» – ci informa Giorgio Vasari – si trova però a Siena nella magnifica cattedrale dell’Assunta. Un pavimento che da secoli suscita ammirazione e stupore, ma che da qualche decennio è praticamente invisibile nel suo complesso perché coperto da ampie lastre di faesite stese per proteggerlo dal calpestìo dei visitatori che sono ogni anno più di un milione, ai quali si aggiungono i numerosi fedeli, con relative, devote suole.

Da Siena giunge la notizia che in occasione del Palio dell’Assunta e fino al 24 ottobre il pavimento del duomo di Siena viene eccezionalmente scoperto e sarà dunque visibile in ogni dettaglio. L’occasione è da non perdere. Grazie alla «scopertura» sarà possibile ammirare in tutta la loro magnificenza le tarsie marmoree nell’esagono sotto la cupola, i tratti di pavimento vicini all’altare e i riquadri dei transetti. Uno spettacolo mozzafiato. I visitatori verranno guidati attraverso un percorso apposito che permetterà anche la visita straordinaria dell’abside del Duomo con la vista ravvicinata delle tarsie lignee di fra Giovanni da Verona e degli affreschi di Domenico Beccafumi.

Perché il pavimento del Duomo di Siena è il più bello del mondo? Perché venne concepito con la stessa cura di un ciclo di affreschi istoriati, con destinazione orizzontale invece che verticale. I cartoni preparatori per le cinquantasei tarsie realizzate in marmo (nero, rosso, giallo e bianco) vennero forniti tra Quattro e Cinquecento da pittori senesi quali Sassetta, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi, e dall’umbro Bernardino di Betto detto il Pinturicchio. Le storie dei cartoni vennero riprodotte sul pavimento mediante le tecniche del commesso marmoreo e del graffito. Si iniziò in modo semplice: le prime tarsie furono realizzate su lastre di marmo bianco con solchi scavati (quindi «graffiti») con scalpelli e trapani, e poi riempiti di stucco nero. La tecnica si fece in seguito più raffinata e complessa. Le storie vennero riprodotte con marmi colorati, ritagliati e accostati (quindi «commessi»), come fossero tarsie lignee. Un solo riquadro è a mosaico: quello raffigurante la Lupa che allatta i gemelli Romolo e Remo (simbolo di Roma, ma anche di Siena), presente nella navata centrale.

Il pavimento del duomo di Siena «parla» al fedele, offrendogli un itinerarium mentis ad Deum, un approccio per gradi alla storia della Salvezza. Si comincia con le navate (il primo spazio che i fedeli incontrano entrando). All’ingresso della navata centrale, un’iscrizione-ammonizione invita chi entra ad assumere un atteggiamento consono alla sacralità del luogo: Castissimum Virginis Templum Caste Memento Ingredi (ricordati di entrare castamente nel castissimo tempio della Vergine). Nelle tre navate il percorso iconografico affronta temi relativi all’antichità classica e pagana, con la rappresentazione di saggi, filosofi e sibille che hanno in vario modo previsto la venuta di Cristo.

Il primo riquadro della navata centrale (il disegno si deve a Giovanni di Stefano, figlio del Sassetta) raffigura Ermete Trismegisto  (cioè «tre volte grande»), il fondatore della sapienza umana. È lui a darci il benvenuto, perché – racconta Lattanzio nelle Divinae Institutiones – questo sacerdote pagano intuì la nascita del «Figlio dal Padre». Accanto ci sono le Sibille, realizzate tra il 1482 e il 1483, dieci in tutto, cinque per ogni navata laterale. Sono profetesse pagane che attraverso i loro oracoli hanno previsto l’avvento di Gesù. I loro curiosi nomi sono legati alla provenienza geografica: la Persica, l’Ellespontica, l’Eritrea, la Frigia, la Samia, la Delfica venivano dal mondo orientale e greco, la Libica dal l’Africa, la Cumea                    o Cimmeria, la Cumana e la Tiburtina dall’Italia.

Lungo la navata centrale, superato il riquadro con Ermete, ci troviamo di fronte alla Lupa che allatta i gemelli, inserita in un cerchio con gli emblemi di otto città dell’antica Tuscia (l’attuale Toscana, ma anche parte dell’Umbria e del Lazio). Il pannello del pavimento è in realtà un rifacimento del 1865. L’originale – di cui restano solo alcuni frammenti – si trova nel Museo dell’Opera e viene datato attorno al 1370. Perché la Lupa con Romolo e Remo è anche il simbolo di Siena? Semplice, perché la tradizione vuole che Siena sia stata fondata da Aschio e Senio, i figli di Remo, costretti a fuggire dall’Urbe dopo la morte del padre.

Proseguendo sulla navata centrale si può ammirare la tarsia disegnata da Pinturicchio nel 1505-1506 che illustra il Monte della Sapienza. L’iconografia si ispira alla filosofia antica e, in particolare, ai fondamenti dello stoicismo: raggiungere la Sapienza è difficile, ma – superati i pericoli – è possibile approdare alla felicità. Si giunge quindi in prossimità dell’altare maggiore, dove si incontrano i soggetti ispirati alle Sacre Scritture e tutti dedicati al tema del sacrificio del Figlio di Dio. Nel grande esagono sotto la cupola si trovano le tarsie raffiguranti le Storie di Elia e Acab: quelle della parte superiore sono state ideate dal pittore manierista senese Domenico Beccafumi, quelle della parte inferiore, invece, dal pittore purista Alessandro Franchi (1878). La tarsia che segue venne disegnata da Domenico Beccafumi nel 1524 e presenta Mosè che fa scaturire acqua dalla roccia.                                                                           Beccafumi è anche autore del quadro di marmo che si dispiega di fronte all’altare. Nella scena                             che risale al 1546 – si racconta il Sacrificio d’Isacco.
Il percorso simbolico del pavimento conduce dunque alla figura di Cristo che però, nel pavimento, è solo evocato ma mai rappresentato. Il figlio di Dio, infatti, non può stare sotto i nostri piedi. Chi lo cerca deve alzare gli occhi: verso l’altare, quello è il suo posto.

Alessandro Sicuro

Exit mobile version