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SE VI ERAVATE IMPRESSIONATI CON LA CRISI DELL’EURO CON L’ARRIVO DEL “FISCAL COMPACT” E “MES” SARA’ LA FINE DI TUTTO

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Il FISCAL COMPACT ED IL MES.

PROBLEMI EUROPEI. PROBLEMI ITALIANI.

SE CON L’ARRIVO DELL’EURO E DELLE CRISI RECENTI ABBIAMO POTUTO VEDERE LA VERA CRISI IN FACCIA, CON L’AVVENTO DEL FISCAL COMPACT E DEL MES AVREMO IL COLPO DI GRAZIA. SARA’ LA FINE DI TUTTO, DELLA NOSTRA SOVRANITA’, DELLA NOSTRA ECONOMIA NON RIMARRA’ CHE UN RICORDO E TUTTI NOI DIVENTEREMO SCHIAVI MODERNI DEI NOSTRI CONQUISTATORI E PARLEREMO TUTTI TEDESCO.

Il Fiscal Compact, o Patto di bilancio europeo o Trattato di stabilità che dir si voglia, è un accordo, fortemente voluto dalla Germania, e sottoscritto il 2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea fatta eccezione per il Regno Unito e per la Repubblica Ceca. Introduce una serie di “regole d’oro” vincolanti per i paesi firmatari. Tali regole puntano ad un controllo del rapporto deficit/Pil ed a una riduzione significativa, in venti anni, del deficit di bilancio. E’ richiesto l’obbligo del perseguimento di bilancio. E’ richiesto il non superamento del deficit strutturale in una soglia dello 0,5% ed !% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del Pil.

E’ richiesta la riduzione del debito pubblico del 5% annuo per venti anni. Vi è obbligo a coordinare i piani di emissione del debito con la Commissione europea e con il Consiglio dell’Unione. Vi sono poi previsti una serie di automatismi con correzioni a scadenze automatiche, quando non si sia in grado di raggiungere gli obiettivi concordati, anche prevedendo sanzioni semi-automatiche.

Tutto questo parrebbe appoggiarsi a giusti principii ma si tratta in realtà di un vero e proprio suicidio. Ridurre la spesa pubblica del 5% per cento annuo significa tagliare 45-50 miliardi l’anno per venti anni. E se ridurla e controllarla è del tutto auspicabile, con queste cifre non si vede proprio come poter realizzare una qualsivoglia forma di ripresa e crescita. L’odiato debito pubblico, sempre messo sotto accusa, è un pericolo solo quando sia fuori controllo, ed in Italia ci andiamo molto vicini, ma è anche necessario per finanziare lo sviluppo. Da Keynes in poi i momenti di vasta espansione economica sono sempre stati finanziati in larga parte con il ricorso ad un aumento del debito pubblico. In Italia al momento non è possibile mettere in atto una politica pienamente keynesiana, e questo spiega le difficoltà della nostra economia, ma nemmeno si possono prevedere drastiche riduzioni e tagli di portata ventennale. In tale caso non vedremo per anni nessuna ombra di ripresa. La responsabilità di chi ha voluto firmare il Fiscal Compact è manifesta e sarà pagata a caro prezzo dai cittadini italiani. Basti pensare a quanto il rapporto deficit/Pil al 3% ci abbia messo in crisi fino ad ora per farsi una vaga idea di cosa ci attenda. Non è che lo diciamo solo noi, illustri economisti come Fitoussi e Roubini spiegano come la politica di “austerità e tasse” sia esattamente la strada sbagliata da percorrere, perché produce depressione dei salari reali, di conseguenza dei consumi e senza consumi parlare di ripresa è del tutto fuori luogo.

Austerità e tasse per venti anni vuol dire soccombere. Morire.

Il nostro debito andrebbe controllato e ridotto, principalmente nelle spese inutili, per poter soddisfare i requisiti internazionali che vogliono si mantenga uno status di investment grade, vale a dire di affidabilità, presso le agenzie di rating internazionale. Questo status permette di rendere i nostri titoli pubblici affidabili, cosa che non avverrebbe in caso di default, con investitori stranieri che venderebbero in maniera significativa.

Una cosa però è mantenere l’affidabilità, una cosa è tagliare per due decenni.

Del resto non è facile operare, presi come siamo tra il ricatto di agenzie di rating internazionali, che di fatto sono sotto l’influenza di capitali privati, e le ansie tedesche di ridurre il deficit a costo di trovarsi con un paese con i conti sì in ordine, ma con i cittadini morti.   Seppur diversi, gli ordini germanici e le declassazioni delle agenzie paiono presentare una manovra convergente che miri, abbattendone le economie, al potere politico ed economico.

Ogni agenzia di rating risponde in parte a persone che sui declassamenti speculano, sia finanziariamente sia con l’acquisizione degli asset strategici del paese “attaccato”. Ogni passo della Germania sembra andare verso il tentativo del suo totale controllo di economie e politiche nel continente. Se non aderiamo al suicida patto tedesco saremo declassati a spazzatura, se aderiamo non vedremo ripresa per quindici, venti anni ad essere ottimisti.

La posizione migliore politicamente, ci pare quella inglese, che si è guardata bene dall’aderire al Fiscal Compact, come pure alla moneta unica.

Occorrerebbe, a mio parere, un controllo della spesa eliminando tutti gli sprechi, organici nel nostro paese, ed investire il risparmio, in ripresa, consumi, benessere.

Col risparmio ci toglieremo in parte di mezzo Moody’s e c. , col finanziare lo sviluppo ci si andrebbe a svincolare dalla morsa tedesca. Il che vuol dire ridiscudere vincoli, parametri e la quasi totalità del Fiscal Compact. Temiamo proprio che così non sarà.

In questo bel quadro ecco che arriva il MES. Di cosa si tratta?

Il MES nasce come meccanismo non direttamente governativo ma finanziario, atto a proteggere l’architettura dell’Unione Europea. Il MES ( Meccanismo Europeo di Stabilità ) è, in sé stesso, un ente predisposto per andare in soccorso di quei paesi dove si presenti una crisi del debito sovrano.

In pratica serve a salvare nazioni che, aderenti all’Unione, vadano in bancarotta.

Ottimo, si dirà, ed in effetti all’apparenza pare una buona idea. Il problema è che questo aiuto che viene dato presenta, per diventare effettivo, una serie di pesanti condizioni a cui sottostare.

Approvato il 23 marzo 2011 è di fatto una struttura intergovernativa, sul modello del FMI e può imporre scelte di politica macroeconomica agli stati membri. Ha una capacità di circa 650 miliardi di euro, è gestito dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri finanziari dei paesi membri, da un Consiglio di amministrazione, da un Direttore generale con diritto di voto e, come osservatori, dal presidente della BCE e dal commissario UE agli affari economico-monetari.

Come in molti hanno sottolineato presenta una notevole percentuale di rischio.

Tra le altre cose chi voglia avere soccorso dal MES deve precedentemente aver aderito al Fiscal Compact, il quale Fiscal Compact può emettere titoli propri o attraverso accordi con istituti finanziari o con altri soggetti. Sancisce inoltre che tutti i Titoli di stato dei paesi Eurozona siano forniti di Collective Action Clauses. In caso di ristrutturazione del debito di uno stato questo permette ad una maggioranza di creditori di accettare una certa percentuale di perdite ma, e qui sta il punto o uno dei punti, anche di costringere ad accettarle i creditori che eventualmente non siano d’accordo. I crediti che un paese abbia contratto con il MES hanno la precedenza su altri crediti fatta eccezione per quelli del FMI.

Il MES gode inoltre di immunità totali, proprietà, fondi, liquidi, ovunque si trovino e chiunque li possieda, sono immuni da interventi giudiziari, sequestri, espropri, moratorie. Tutto. Non accettabile in democrazia. Anche se questo è un meccanismo presente in altre istituzioni internazionali teso a difenderne le operatività, che potrebbero essere bloccate da interventi anche locali. Se il principio è giusto pur tuttavia già da questo accenno si vede come la struttura del MES sia improntata su un certo “assolutismo” di concetto ed abbia per questo destato più di una perplessità. Ma quello che preoccupa sono le condizioni che uno stato debitore verso il MES debba accettare. Questo stato si vincolerà di fatto ad ogni decisione che MES e FMI gli vogliano imporre, ad ogni condizione del prestito in essere. Sarà totalmente vincolato ad ogni decisione di questo organismo. E’ l’aspetto più grave. Si perderà infatti così ogni potere decisionale e contrattuale, l’economia di quello stato sarà sotto il controllo di altri. Nei fatti il suo governo sarà solo un guscio vuoto.

Non per niente Barnard ha definito il MES “addentellato di una struttura illegittima, golpista e distruttiva delle nostre democrazie ed economie”. Inoltre per mantenere il MES si attingono soldi dai mercati di capitali privati, indebitandosi, e con la tassazione di cittadini ed aziende. Un istituto quindi fortemente autoritario, che mette a rischio pesantemente le sovranità nazionali e che per giunta produce debito e tasse per il suo mantenimento. Parrebbe assurdo pensare ad una struttura di tale tipo ma dietro ci potrebbe essere un disegno ben preciso.

Con la pressione delle agenzie di rating, con i vincoli nel rapporto deficit/Pil, infine con il Fiscal Compact si mettono in crisi le economie più a rischio e se ne impedisce la ripresa. Per anni.

In questi paesi si va a fare facili acquisizioni, il che non è peraltro proibito, ma tali nazioni rischiano di perdere i propri comparti strategicamente rilevanti rimanendo con le scatole vuote in mano.

Non è possibile far ripartire a questo punto alcuno sviluppo. Quella nazione farà ricorso al MES.

L’Unione, che ha causato il disastro, va, attraverso il MES, a prestare denaro ha chi lo ha tolto.

Sottraendogli però, nei fatti, la sovranità nazionale.

Il fine iniziale è poter speculare facilmente, il fine ultimo è più rilevante. E’ prettamente politico.

Quella nazione, dopo essersi messa nelle mani del MES non è più indipendente. Non ha una economia né sovranità nazionale.

Attraverso un meccanismo economico e finanziario si realizza in realtà l’unione politica dell’Europa. Capitale Berlino.

Certo l’unione politica europea è auspicabile e darebbe più autorità al continente nelle decisioni internazionali. Se però il prezzo devono essere anni di depressione economica, povertà, perdita delle libertà, sempre possibile ove si perda l’indipendenza, occorrerà pensarci molto bene.

Ricorda vagamente, seppur in termini differenti, episodio V di Guerre Stellari. Per chi non lo avesse visto racconta il passaggio dalla repubblica all’impero. Forse necessario storicamente, va tuttavia ben controllato per non incorrere in rischi di assolutismo. Con parlamenti politicamente “vuoti” e con decisioni prese lontano dai cittadini. Nel film si passa dalla repubblica ad un duro centralismo. All’impero appunto. Solo che questo non è un film.

Alessandro Sicuro

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