L’ITALIA IN S-VENDITA
Il nostro paese è in vendita, anzi in svendita, la macchina politica e burocratica vuole sempre più denaro, sempre più risorse e , senza sviluppo, senza prospettive, i nostri beni si comprano bene, troppo. Non ci vuole una grande capacità per capire che il turismo, se ben gestito, in un paese come l’Italia può rendere moltissimo, se poi ci mettiamo che il turista qui da noi puo’ trovarci il miglior cibo e vino del mondo, la moda italiana, e tutto il manifatturiero rappresentato dal marchio Made In Italy, comprendiamo perché siamo sotto gli occhi di tutti gli speculatori internazionali. Intendiamoci, queste acquisizioni sono la norma nel sistema capitalistico in cui viviamo, sono del tutto legittime e fanno parte del gioco. Ma ci sono delle doverose distinzioni da fare.
Il problema è un altro. Noi, in Italia, abbiamo un capitalismo debole, non articolato, composto infine da poche famiglie, questo capitalismo non ha la forza concorrenziale di quello estero.
Non ha forza per la crisi, per l’eccesso di burocrazia, per la mancanza di credito, ma non ha forza proprio perché è un sistema limitato, senza concorrenza interna e quindi non ha avuto espansione né stimoli, ha voluto controllare il mercato senza concorrenza e trattare con gli istituti di credito da posizione privilegiata. Si sono elargiti soldi e finanziamenti ai soliti noti che andavano invece elargiti per finanziare forze nuove e meritevoli ed il risultato è che ci ritroviamo con un capitalismo “infantile” per la capacità di vedere lontano, a parte i soliti furbetti del quartierino, non capace di reggere l’impatto con altri gruppi più strutturati sopratutto tecnologicamente.
Facciamo un esempio.
LMVH del miliardario francese Arnault, dopo innumerevoli acquisizioni si è orientata con i suoi investimenti su Venezia, regno incontrastato del suo concorrente Pinault. Premesso che i due ricchi signori d’oltralpe fanno a gara a chi compra di più e di tutto: moda, media, lusso, vini, persino pasticcerie. La laguna sembrava regno di Pinault che già nel 2005 si era preso la gestione di Palazzo Grassi, un importante polo artistico e poi Punta della Dogana. Dopo è arrivato Arnault che lancerà nel 2016 un nuovo centro commerciale nei pressi di Rialto. In un cinquecentesco edificio venduto dai Benetton. Costo 100 milioni di euro. Per comprendere come si muovano i due miliardari basti pensare che si sono accaparrati grandi maison dello Champagne, grandi vini. Pinault è proprietario di Christie’s, Arnault compra e rivende le concorrenti Tajan e Philips.
Pinault ama l’arte ed è un grande collezionista, uno dei più grandi. Arnault compra Warrol o piuttosto Basquiat.
Arnault ha due giornali, La Tribune e Les Echos. Pinault la rivista Le point.
Pinault è un vero e proprio self made man, Arnault è un prodotto della élite francese. Erano in rapporti cordiali ma dopo la vicenda Gucci i rapporti si sono incrinati. Arnault prende Pucci, Fendi, Bulgari ed infine Loro Piana. Pinault Brioni, storica sartoria sinonimo di eleganza e classe maschile. Si ricorre a tecniche di spionaggio, analisti che danno valori troppo alti alle società in fase di acquisizione. Lotta lecita ma senza quartiere. I due politicamente sono diversi ma ora Pinault sembra essere uno degli uomini più ascoltati dal presidente Hollande e l’appoggio e la volontà del presidente francese è in questo senso fondamentale. Contrariamente alla politica italiana, che venderebbe di tutto per pochi spiccioli, Hollande vuole una Francia forte in europa, che possa contrastare lo strapotere tedesco e di conseguenza poter ben trattare con la Germania.
Una politica che guarda oltre le necessità contingenti e le beghe interne di partito e che produrrà, per la Francia, buoni frutti. E anche se i due imprenditori hanno preparato o stanno programmando le relative successioni, questa lotta senza fine durerà a lungo. E’ la volontà politica di una Francia forte con voce in capitolo nell’Unione europea.
Ora si dirà: che ci importa se due imprenditori francesi comprano in Italia? Casomai saranno più bravi dei nostri. Probabile. Oltretutto i due magnati hanno deciso per la piena autonomia dei produttori italiani. E sono sicuramente due personalità capaci in assoluto.
Allora dove sta il problema? Non nei francesi, ma in Italia. I nostri imprenditori, troppo impegnati a difendere posizioni di privilegio ed assicurarsi ottimi accordi con gli istituti finanziari, sono pochi, deboli e in maggioranza anziani. Come nel settore che riguarda Pinault e Arnault anche in quasi tutti gli altri settori.
Si rischia che l’Italia diventi il mercato delle buone occasioni. Complice una classe politica che ha ben altro per la testa, è assente e talvolta avalla tali operazioni, ed è del tutto incapace di imporre decisioni. Decidono le banche per loro. E le banche hanno una visione strategica pari a zero, a loro interessa solo il loro guadagno. Non che non programmino, lo fanno, ma sono dei tecnici, ed oltre al numero non vedono niente.
Le banche non hanno strategie di lunga portata e non hanno predisposizione al rischio.
I francesi invece sono un esempio di lungimiranza, la loro visione sul futuro è veramente ambiziosa e il tempo e la loro professionalità infatti li sta premiando. Noi invece possiamo realmente perdere tutto quello che potrebbe produrre ricchezza dare lavoro ai nostri figli: i nostri asset strategici, il made in Italy, il turismo, i nostri monumenti, le citta’ d’arte il food & beverage. Oltretutto correndo il rischio di venderlo a poco. Senza i nostri settori di punta non avremo possibilità di investimento e quindi di ripresa e di rinascita. Si perderanno maestranze preziosissime, probabilmente ancora più posti di lavoro. Il sindacato latita, perché anche il sindacato non vede o “non vuol vedere ” al di là del proprio naso. Fa retorica, mentre il sindacato dovrebbe essere esso stesso “imprenditore” dalla parte dei lavoratori. Per esempio: agevolando la creazione di cooperative tra gli stessi lavoratori licenziati da aziende fuggite in Carinzia o in Svizzera, pensando anche al fatto che una cooperativa gode di vantaggi, di detassazioni e incentivi. Mentre alcuni fuggono all’estero nel nostro paese, a forza di mettere nei posti di comando persone frutto del compromesso, di conseguenza spesso inadeguate, di non voler finanziare le nuove idee, di tenere in piedi il piccolo orticello dove tre ricchi gatti prosperano, arrivano i risultati. Cioè la svendita degli asset strategici agli squali internazionali. E di certo chi li ha agevolati ha avuto il suo tornaconto.
Al mercato libero e liberista non ci crediamo, perché risulta un’utopia. Ci vogliono regole serie e dure per realizzarlo, l’esperienza dell’ ultima crisi americana lo dimostra. Nel liberismo di mercato da tanti auspicato la speculazione è selvaggia. Ed inoltre se vogliamo liberalizzare, prima dobbiamo liberalizzare, reso vasto ed articolato, il mercato stesso, o faranno affari solo i soliti. Naturalmente sostenuti dai nostri miopi istituti di credito. Non puoi liberalizzare se il mercato sia di fatto monopolizzato. Soprattutto per questo scenario ci vorrebbe un governo “Forte”, che vigili e funga da regista per tutto il processo, ecco perché Roosvelt ebbe successo ed oggi sta ottenendo lo stesso la Merkel.
A proposito di governi forti e che hanno dimostrato il loro successo, Margaret Thatcher si guardò bene dal vendere le eccellenze inglesi. Tenne la testa dirigente nel Regno Unito e si libero’ o subappaltò tutte le strutture pesanti ed inutili per alleggerire i costi, ritrovare competitività, avere aziende veloci e leggere.
Noi invece, in questo vento liberista, siamo vasi di coccio, e ci ritroveremo in mano i pezzi dei vasi.
C’è bisogno, tra le tante riforme, di regole che facciano crescere il capitalismo italiano, che diventi adulto finalmente. Radicale riforma del sistema bancario. Tutti sapete come funziona se chiedete un prestito di pochi euro e si sa anche come vengano abbondantemente foraggiate situazioni del tutto clientelari. C’è urgenza della banca d’affari, concetto americano, banca che non chiede garanzie, finanzia l’idea e ci scommette sopra. Qui invece abbiamo istituti con voragini spaventose, dove non si è mai appurato a chi abbiano elargito così tanto denaro e per giunta con Cda che si riuniscono come se nulla fosse successo.
Non si può andare avanti così. Non è moralismo, è determinazione nel voler cambiare, dare possibilità a molti, partire di nuovo. Il vecchio sta producendo debito, impedisce al nuovo di farsi notare, crea ricchezze ingiustificate. Il favorire l’accesso al credito secondo criteri clientelari produce di fatto una classe di imprenditori non competitiva. Se vogliamo la democrazia ed il benessere partiamo dalle banche, obblighiamo il nostro capitalismo ad una sana e stimolante concorrenza interna, e votiamo una classe politica che invece di comprarsi borse griffate e attici sul Colosseo crei ricchezza, così le borse e gli attici li compriamo tutti. Se facciamo velocemente forse eviteremo in parte di diventare terra di conquista, di perdere ricchezza.
E’ difficile perché politica, finanza, burocrazia, nepotismo, vogliono mantenere i loro privilegi aristocratici così ben radicati nella cultura italiana. E anche se così non fosse, con un governo in pratica imposto da Merkel & c. non ce la possiamo fare.
E viene il sospetto, che oramai è divenuto certezza, che tutti i poteri convergano nel mantenere lo status quo. Come si rafforza una classe oligarchica e chiusa se il benessere è diffuso? Difficile. Ma con un’economia depressa si potranno avere diversi vantaggi. Acquisizioni, con sconto enorme, di beni vari, salari bassi, più ore di lavoro, minori problemi sindacali. Le persone pur di lavorare già lo stanno facendo anche gratis.
In termini di fantapolitica, e nemmeno poi tanto, si potrebbe pensare, istigati dal vecchio detto andreottiano, ” A pensare male si fa peccato ma non si sbaglia quasi mai”, ad una classe dirigente scesa a patti con la Germania e con le grandi organizzazioni economiche e finanziarie. Forse Bilderberg, non sta a me dirlo, non faccio il magistrato seguo solo il mio istinto.
Questa classe politica economica e finanziaria guarda solo al suo “particulare” e butta a mare l’Italia svendendola, e gli italiani, deprimendo il loro tenore di vita.
Non hanno alcuna intenzione di rilanciare lavoro consumi e benessere, non gli conviene. Come al feudatario di un tempo non conveniva che il contadino alzasse la testa salendo mano a mano la scala sociale e diventasse a sua volta feudatario.
Alessandro Sicuro
It’s hard to fathom that this financial crisis in a nation with so much history and tradition would “be sold” to the highest bidder basically. and all in the interest of money. If things are properly managed and presented business and visibility grow and people visit and spend money on all brands Italian. If they are not, then the crisis worsens, and that should not happen.
The points and arguments made here are well articulated and quite valid and on target. But my question would be why allow foreign conglomerates to take over important companies/venues in Italy, with the intent of restarting the economy, making more jobs for the Italian people that they desperately need, etc. yet in most cases, it’s just talk, businesses either close or staff and salaries shrink, finances become more bleak and the nation’s financial credibility/stability becomes worse. with the government raising taxes and so much more that people can’t afford to even the necessitites.
But this is an important and well written article which brings the matter to an even greater audience and to help us all understand what is actually going on, and how things must be brought back and once again Italy gets back into being a leader in the financial and industrial market. There are many wonderful made in Italy products and they need to be out in the public and not be lost just because of bad planning on the part of someone in the upper level of things.
Part of this problem I fear has to do with many in government, and they (not all of them) are just making things worse for the entire country.
thank youi