
Pacific Trash Vortex
IL PACIFIC TRASH VORTEX SE NE PARLA ORMAI DA ANNI. ALCUNE FONTI AUTOREVOLI DICONO CHE L’ISOLA DELLA SPAZZATURA DI PLASTICA PRESENTE NEL PACIFICO SIA GRANDE COME IL TEXAS ALTRI DICONO ADDIRITTURA IL DOPPIO. UN ARTICOLO DELL‘INDEPENDENT DICHIARA CHE LA SUA SUPERFICIE SIA ADDIRITTURA DOPPIA A QUELLA DEGLI STATI UNITI.
INDUBBIAMENTE IL PROBLEMA ESISTE E DEVE ESSERE AFFRONTATO, VALUTATO E NEI LIMITI DEL POSSIBILE RISOLTO, PENA LA MORTE DI QUASI TUTTE LE SPECIE ANIMALI E CON LORO ANCHE NOI
SCONVOLGENTE IL RACCONTO DEL NAVIGATORE SOLITARIO IVAN MACFADYEN IL QUALE DI RITORNO DALLA SUA ULTIMA ATTRAVERSATA DELL’OCEANO PACIFICO DICHIARA: L’OCEANO PACIFICO E’ MORTO DISABITATO SI INCONTRANO SOLO CARCASSE E RELITTI DI SPAZZATURA GALLEGGIANTE.
HO RACCOLTO DUE TESTIMONIANZE, DUE ANALISI CONTRAPPOSTE, SUL PACIFIC TRASH VORTEX, QUESTA NUOVA ISOLA DI PLASTICA CHE PER L’INDEPENDENT E’ GRANDE COME GLI STATI UNITI.
Prima testimonianza:
Chris Jordan, fotografo, ha scattato queste immagini su un’isola remota dell’Oceano Pacifico chiamata Midden Atoll. Questo atollo si trova esattamente a metà tra il Nord America e l’Asia, a più di 2000 miglia dalla costa più vicina. E’ fino a qui che arriva gran parte della
Nel 2009 Chris Jordan ha deciso di denunciare la gravità del fenomeno realizzando un reportage fotografico molto forte che ritrae le condizioni in cui versano questi animali, sia da vivi e agonizzanti, che da morti. In particolare le foto che vedrete testimoniano lo scioccante contenuto dello stomaco di questi uccelli che – ricordiamo – vivono in uno dei santuari marini più remoti del pianeta.
Purtroppo il nostro sconsiderato consumo di plastica sta letteralmente sterminando i cuccioli di questi magnifici uccelli di mare, che in normali circostanze vivrebbero fino a 50 anni, e anche oltre.
Le foto riportate nell’articolo sono il racconto visuale terribile del danno che tutti noi stiamo commettendo nei confronti della natura e rappresentano uno dei tanti motivi per cui riciclare è così importante.
Un viaggio di sette anni per conoscere e combattere l’isola di plastica del Pacifico, la Great Pacific Garbage Patch, scoperta nel 1997 ma nata da almeno quarant’anni.
Lo ha intrapreso Angela Sun, surfista, subacquea e amante dell’oceano, che ha trasformato la sua avventura in un documentario: “Plastic Paradise: The Great Pacific Garbage Patch”. La sua ricerca su quell’isola e sul perché la gente dovrebbe preoccuparsi della plastica, è oggi diventata una pellicola che sta facendo il giro di numerosi festival. Un viaggio illuminante sulle conseguenze della plastica sulla salute e sull’ambiente, soprattutto sulla vita marina.
ecco il video:
IL MARE INVASO DALLA PLASTICA
Il Census of Marine Life è uno studio che si sta sviluppando da una decina d’anni in 25 aree marine in tutto il mondo e ha messo in evidenza come il Mediterraneo sia a rischio, data la altissima concentrazione di petrolio e plastica. Le acque che bagnano l’Europa mediterranea sono abitate da biodiversità di inestimabile valore. La quantità di pesci, alghe e altre specie marine è messa in serio pericolo dalle condizioni in cui il mare versa.. Non solo l’incuria di ciascuno di noi. Quante volte vi è capitato di vedere i litorali profondamente segnate dal passaggio dell’uomo? Più di 400 tonnellate di rifiuti si trovano in mare, causando danni a tutto l’ecosistema marino. I grossi pesci scambiano i sacchetti che fluttuano in mare per cibo e li ingeriscono, soffocando. Le tartarughe marine li scambiano per meduse e quindi per cibo. Altri agenti inquinanti delle nostre spiagge sono le sigarette e mozziconi, bottiglie e lattine abbandonate. Speriamo sia superfluo sottolineare che i tempi di biodegradabilità di questi rifiuti sono estremamente lunghi. Anche il traffico navale contribuisce fortemente nella crescita dell’inquinamento: forse non tutti sanno che ben il 60% delle petroliere transita nel Mediterraneo e qui vi si registra il 27% delle attività legate alla raffinazione del così detto oro nero.
Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo scempio. Ognuno di noi può fare qualcosa di concreto e non possiamo aspettare che siano sempre i politici a prendere provvedimenti, con restrizioni, sanzioni e leggi. In natura tutto è legato e anche le nostre azioni influiscono: se prendiamo l’abitudine di raccogliere i nostri rifiuti e di gettarli correttamente nei cestini; se evitiamo di disperdere i sacchetti di plastica che ancora circolano (e qui ci colleghiamo all’importanza di abolire totalmente le shoppers); se cerchiamo di ridurre i consumi di petrolio adottando sistemi di energie alternative, forse possiamo ancora sperare di arrivare al fatidico giro di boa del non ritorno.
Un continente di plastica minaccia l’Italia
Dati preoccupanti emergono del rapporto su “L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino”, realizzato da Arpa Toscana e dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia Romagna su richiesta di Legambiente.
Secondo il dossier, che sintetizza i principali studi scientifici sull’inquinamento da plastica in mare, tale materiale rappresenterebbe la principale minaccia per le nostre acque poichè costituisce dal 60% all’80% del totale dell’immondizia trovata in mare. Questo dato che, in alcune aree, raggiunge persino il 90-95% del totale anche in Italia starebbe dunque sfiorando livelli gravissimi. Il monitoraggio, infatti, effettuato dall’Arpa Toscana nell’arcipelago toscano ha evidenziato come in un’ora siano stati prelevati dai pescatori con reti a strascico 4 kg di rifiuti, di cui il 73% costituito da materiale plastico, soprattutto sacchetti.
Questi dati, ha dichiarato Legambiente, «potranno rappresentare un utile contributo per il Ministero dell’Ambiente, che dovrà rispondere alla richiesta di chiarimenti della Commissione europea sul bando italiano degli shopper».
Le buste di plastica non biodegradabili, infatti, continuano a soffocare i nostri mari minacciandone flora e fauna. E se la grande distribuzione si è ormai allineata con le direttive ministeriali, che dal primo gennaio 2011 hanno vietato l’utilizzo delle shopper, la piccola distribuzione stenta ancora a farlo.
Ma la situazione purtroppo non appare più confortante neppure nel resto del Mediterraneo dove, in base agli esiti di International Coastal Cleanup, tra il 2002 e il 2006 i sacchetti di plastica sono risultati il quarto rifiuto più abbondante dopo sigarette, mozziconi e bottiglie.
Che cosa è il Pacific Trash Vortex
Non è noto a tutti cosa sia il Pacific Trash Vortex (detto anche Great Pacific Garbage Patch), ma con questo termine si identifica un’isola mobile di spazzatura che galleggia nell’Oceano Pacifico.
Questo enorme agglomerato di spazzatura è composto per l’80% di plastica e il restante 20% è di materiali di varia natura e provenienza che, trascinati dalle correnti, si sono accumulati in un’area oceanica di circa 15 milioni di km2 (per dare dei riferimenti, è un’area vasta come Spagna e Portogallo messi assieme) e profonda 30 metri. I detriti, si stima, hanno un peso complessivo di oltre 100 milioni di tonnellate.
Ovviamente, i detriti di natura biologica si decompongono nei tempi dettati dalla loro stessa natura, ma i rottami marini e la plastica si stanno accumulando inesorabilmente, senza venire smaltiti o disciolti dal moto marino o dall’acqua salata. A peggiorare la situazione si aggiunge la fotodegradazione della plastica che si degrada fino a sciogliersi, ma si disintegra in pezzi sempre più piccoli, fino a raggiungere la dimensione dei polimeri, notoriamente difficilissimi da biodegradare. La rottura della plastica in particelle costituisce un danno per le biodiversità marine incalcolabile. Per esempio, alcuni esseri viventi nell’oceano (come le meduse) scambiano la plastica per zooplancton e se ne nutrono. Ciò significa che questi polimeri vengono introdotti nella catena alimentare, con il mercato ittico. Si pensi che nel 2001 la quantità di plastica presente nell’oceano era di 6 volte superiore allo zooplancton.
La maggior parte dei rifiuti è costituita da oggetti contenuti nei container trasportati dalle navi cargo, che talvolta cadono in mare. Alcune di queste dispersioni sono diventate famose, come quella del 1990 in cui la Nike ha disperso scarpe da ginnastica che sono state ritrovate nei tre anni successivi sulle spiagge di alcuni stati americani. Un altro celebre incidente ha riguardato papere di plastica da bagno. In questo caso, però, a parte il danno ambientale causato dalla dispersione delle papere è stato utile per lo studio delle correnti oceaniche su scala globale, integrando le informazioni già in possesso degli esperti. In questi anni si sono costituite diverse squadre d’azione per la pulizia del Pacific Trash Vortex, ma la vastità dell’area non consentono di ottenere risultati nell’immediato. E’ importante quindi che tutti si rendano conto che l’inquinamento di un’area è responsabilità di tutti ed è importante che tutti, nel loro piccolo, adottino comportamenti di civiltà ecologica.
Il “Settimo continente”: la nuova minaccia ambientale arriva dal Pacifico
Questa invece è il pensiero sull’argomento, di altri ricercatori :
Il fenomeno del Great Pacific Garbage Patch è noto (e in espansione) fin dal 1988, così come è vero che ve ne sono altri analoghi, uno nel nord Atlantico e uno nell’oceano Indiano oltre ad altri più piccoli.
I rifiuti, provenienti dalle coste asiatiche e nordamericane, vengono convogliati nella zona di oceano compresa tra Hawai e Giappone dal vortice del Pacifico Settentrionale, una corrente marina di forma ovale.
Il fatto poi che si tratti di plastica in galleggiamento sull’acqua rende difficile fare dei rilevamenti esatti e questo riguarda anche le dimensioni effettive del garbage pack. Le stime indicano un’estensione pari a quella del Texas, al massimo doppia. Un articolo dell’Independent infine sostiene che la superficie sia ormai doppia a quella degli Stati Uniti, ma a tutti gli effetti si tratta di teorie.
Troverete moltissime informazioni sul Pacific Trash Vortex in internet. L’articolo citato dall’Indipendent è già abbastanza esaustivo, pur riguardando una speculazione. Per sapere altro rimandiamo a note e collegamenti esterni della Wikipedia inglese, tra cui figura un dettagliato report in pdf da parte della US Environmental Protection Agency.