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I PRIMI VIAGGI IN AMERICA DEI MEDICI E DEGLI SFORZA

introduzione

“Riccardo Magnani è un ricercatore italiano che seguo da tempo, le sue brillanti teorie sono risposte alle domande che mi pongo da tempo. Molti indizi e prove documentali sostengono le sue tesi, destinate a rivoluzionare la storia di Leonardo da Vinci e del Rinascimento in generale. Nato a Lecco il 25 gennaio 1963, Laureato in Economia e Commercio, da alcuni anni si dedica  a tempo pieno allo studio leonardesco, divenendo ben presto autore di diverse pubblicazioni nelle quali riassume le sue innumerevoli e innovative letture.

Non è solo il suo approccio a Leonardo ad avermi colpito. Sono rimasto colpito anche dalle sue ricerche circa gli affreschi a Palazzo Besta a Teglio, in Valtellina, dove le pitture dai mille messaggi in codice diretti ai posteri, comunicano verità nascoste riconducibili all’Accademia Neoplatonica Fiorentina voluta da Cosimo il Vecchio e diretta da Marsilio Ficino. Tra i vari dipinti c’è un planisfero del mondo, datato 1459 e attribuito da Magnani al Leonardo giovane; la particolarità di questo planisfero sono le Americhe, l’Antartide privo di ghiacci e una strana omissione della Puglia, che mi ha fatto notare Magnani, è riscontrabile anche in un disegno di uno dei codici leonardeschi. Ebbene in questo articolo che riproduco nel mio blog, si potranno leggere altre sconvolgenti rivelazioni, supportate da prove grafiche sui dipinti che il dott. Magnani elargisce in quantità e qualità tutta una serie di indizi che a dir poco sconvolgenti, sulle date e la paternità della scoperta del nuovo continente”.

La vera storia dei primi viaggi europei in America

di Riccardo Magnani

Da sempre, la questione legata alla “scoperta” delle Americhe accende la curiosità di più di un lettore, alimentando miti e leggende che riempiono pagine di libri e riviste tematiche, concorrendo a formare una conoscenza collettiva condivisa priva però di ogni fondamento nel mondo reale. Tra questi falsi miti e leggende annoveriamo Cristoforo Colombo e alcune mappe ancora oggi ritenute, a torto, anacronistiche; cito ad esempio quella dell’ammiraglio turco Piri Reis, del 1513, la cui peculiarità sarebbe quella comprendere le coste antartiche. Una peculiarità, questa, in vero assai diffusa in quel periodo; lo stesso Leonardo, nella copia della sua proiezione a ottante del globo terrestre a opera del Melzi oggi conservata alla Royal Collection di Windsor, include una dettagliata veduta dell’Antartide.
Sempre più persone, ormai, conoscono la mia propensione allo studio del Rinascimento e alla figura ad esso centrale, Leonardo da Vinci, quindi aprirò questa mia concisa disamina con le sue parole:
“Nessuna cosa si può amare, né odiare, senza piena cognizion di questa”.

 

La vera storia dei primi viaggi europei in America

Un insegnamento quasi banale e superfluo qualora non si voglia incorrere in pregiudizi e ricerche zoppe.
Eppure, nonostante ciò, esso viene disatteso il più delle volte.

Anzi, si può affermare senza timore di smentita che lo studio del Rinascimento e di ciò che ha contribuito a determinare l’attuale assetto culturale, politico e economico della moderna società, Leonardo incluso, non può prescindere dall’approfondimento e dalla conoscenza di come avvennero i primi viaggi transoceanici. Ritengo quindi doverosa questa digressione, solo apparentemente accessoria al mio percorso di studio usuale, nella speranza che contribuisca una volta per tutte a fare chiarezza sulla questione “Americhe”, da troppo tempo alimentata da speculazioni tendenziose.

Esistono diverse mappe, vedute parziali e scene di vita vissuta, compresi animali e personaggi (di cui la storia ci consegna solo le gesta leggendarie) riconducibili alle Americhe e alle Isole caraibiche, ascrivibili con certezza a un periodo che va dal 1428 al 1459.

Al di là della arcinota Araucaria, ritratta dagli artisti di mezzo Rinascimento, chi segue le mie conferenze sa da qualche anno che esistono riferimenti ai territori americani nei dipinti di Pisanello, di Piero della Francesca, di Benozzo Gozzoli, di Botticelli, nella carte di Filarete o di Basinio da Parma, negli anonimi affreschi della casa degli falconeria appartenuti a Francesco Sforza nel 1459, o ancora nella Casa del Pellegrino di Civate, vicino Lecco, legando testimonianze straordinarie e uniche e famiglie all’epoca alleate.

Se vi domandate come è possibile tutto ciò e da dove arrivavano queste conoscenze di natura geografica, che secondo la ricostruzione comunemente accettata apparirebbero anacronistiche, la risposta va chiaramente ricercata in quel bagaglio di nozioni di carattere astronomico, matematico, musicale – e chiaramente geografico – giunto a Firenze durante il Concilio tenutosi in città nel 1439, dopo che la peste indusse gli organizzatori a spostare l’evento da Ferrara, luogo in cui inizialmente ebbe luogo con la finalità prima di unificare e appacificare la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente.

I protagonisti di quella stagione ci aiutano a dipanare questa matassa, che altrimenti appare intricata oltremodo. Personaggi del calibro assoluto di Sigismondo d’Ungheria, Gemisto Pletone e Martino V furono gli artefici primi di Atellani di Milano o in manuali di questo nobile tentativo, anche se il papato di quest’ultimo arrancava non poco, dilaniato da numerosi contrasti interni. Fu proprio Martino V che indisse nel 1431 il Concilio di Basilea, e grazie al suo amore per l’arte e le filosofie pagane, con l’aiuto di Pandolfo III Malatesta diede vita al primo rilancio artistico e culturale dell’Europa.

La figura di Pandolfo III è spesso sottovalutata, subordinata a quella più ingombrante di Cosimo de’ Medici, ma fu proprio lui a dar vita al rilancio delle arti che poi sfociò in quel movimento straordinario che oggi conosciamo come Rinascimento, e che nei libri di testo prende erroneamente la mossa dalla vicenda di Cristoforo Colombo. Anzi, mi spingo a dire che il vero Rinascimento finirà nel 1459, quando Pio II convocherà a Mantova il Concilio della Dieta, contrapponendosi in questo modo alle celebrazioni che si tennero invece a Firenze in onore di Galeazzo Sforza e soprattutto di Mattia Corvino, l’alleato ungherese dei Medici. L’intento di Papa Piccolomini era quello di impossessarsi del controllo dei nuovi territori e definire alleanze e modalità d’ordine sociale e controllo culturale che sfoceranno poi con Sisto IV nelle temutissime inquisizioni, affinché il sapere neoplatonico venisse debellato sul nascere.

Ma procediamo per gradi.
Gentile da Fabriano e Pisanello erano due degli artisti sostenuti da Martino V, che agli inizi del secolo XV girò tutto il nord Italia proprio in compagnia di Pandolfo III per affrancare il suo ruolo e riportare il papato a Roma. Per necessità di sintesi non ripercorrerò passo per passo tutte le fasi di quel periodo, ma già l’aver citato Sigismondo d’Ungheria, Pisanello, Ferrara e Pandolfo Malatesta mi permette di introdurre un primo, forte e chiaro elemento che mina tutta l’impalcatura su cui oggi il racconto dei primi viaggi in America si sostiene.

Alludo all’opera di Pisanello in cui un condottiero ungherese (si evince dai paramenti del cavallo) si trova di fronte a una prima, netta e chiara rappresentazione dell’America del Sud.
Il dipinto, del 1438, fa riferimento alla Visione di Sant’Eustachio, episodio che dà il titolo all’opera.
Diceva Goethe: “Qual è la cosa più difficile di tutte? con gli occhi vedere ciò che dinanzi agli occhi sta”. La difficoltà a cui allude il poeta tedesco, “fraterno” amico di Manzoni, sta proprio nel districarsi tra quella parzialità offerta da una visione resa limitata dalla ristrettezza delle conoscenze su cui si basa, o del contesto di studio troppo circoscritto e puntuale. Il dipinto di Pisanello è importante perché offre un paio di informazioni dalle quali non possiamo prescindere se vogliamo considerare correttamente l’evoluzione storica dei primi viaggi in America, e il riflesso sulla società che si è formata di conseguenza.

Nel Martirologio della Chiesa Cattolica, Sant’Eustachio viene celebrato il 30 settembre. Oggi. Fino alla prima metà del XV secolo, invece, il santo che vide Cristo in croce tra le corna di un cervo veniva celebrato – udite udite – il 12 di ottobre.

Inutile ricordarvi questa data che importanza abbia in relazione alla scoperta dell’America.
Osservando il dipinto, quindi, si può dedurre che un ungherese (ricordo che Sigismondo d’Ungheria è stato Imperatore del Sacro Romano Impero) il 12 ottobre “vede” per la prima volta il continente Sudamericano.

Questi intitola la terra appena visitata al figlio del primo Re cattolico d’Ungheria Stefano I, di nome appunto Emmerich (Emmericus in latino, Amerigo in italiano).
Pisanello non è nuovo a inserimenti geografici nei propri dipinti; ritrarrà l’America (una veduta parziale del Golfo del Messico) dietro il ritratto di Ginevra d’Este, prima moglie di Pandolfo Sigismondo Malatesta, a sua volta ritratto da Piero della Francesca nel 1451 in un affresco conservato nel Tempio Malatestiano di Rimini, inginocchiato dinanzi a Sigismondo d’Ungheria con gli stessi territori alle spalle.

Questa è forse la più chiara e netta delle quaranta e oltre testimonianze da me individuate finora, in cui si riconoscono distintamente la Louisiana, la costa orientale degli Stati Uniti, la Florida, la zona dei grandi laghi e molto altro ancora.

 E’ ancora P.S. Malatesta a offrirci un ulteriore importantissimo elemento per comprendere come la…

…ricostruzione ufficiale legata alla scoperta di Cristoforo Colombo sia solo il risultato di un patchwork intessuto alla bisogna per cambiare il corso della storia a opera e beneficio di uno schieramento politico ben definito, che prende la mossa dall’incontro immortalato da Pinturicchio alla libreria Piccolomini di Siena, che ritrae Pio II che unisce Federico III, ultimo Imperatore del Sacro Romano Impero, a Eleonora del Portogallo, sotto lo sguardo interessato di Nastagio Vespucci, padre di Amerigo.

Se a questi uniamo i reali di Spagna, ritroviamo i quattro paesi che si avvalsero dell’istituzione più cruenta,

l’Inquisizione, la cui funzione era da un lato quella di eliminare i fondamenti pagani fonte prima del Rinascimento, dall’altro quella di proteggere il furto dei nuovi territori ai primi veri navigatori transoceanici, riuniti e celebrati a Palazzo Medici Riccardi da Benozzo Gozzoli nel 1459.
Lo scritto che riguarda P.S. Malatesta è l’Hesperis, composto da Basinio da Parma a partire dal 1449 per celebrare i fasti del più piccolo dei figli di Pandolfo III – che a mio avviso non ha parte nelle vicende realmente occorse ma millanta una serie di accadimenti che riconduce a sé nel goffo tentativo di uscire dall’ombra del padre e del fratello Domenico, soprannominato Novello.
Lo stesso nome che porta, Gismondo, solo in seguito alla morte del fratello Domenico viene trasformato in Sigismondo. Indipendentemente dal valore assoluto del committente, nell’Hesperis vi sono contenute una serie di indicazioni molto importanti che concorrono in maniera sostanziale a completare un quadro già di per sé eloquente costituito dal dipinto di Piero della Francesca e dal fatto che il Tempio Malatestiano sia cosparso di Rose che sono la copia esatta di un fiore originario del Perù, ovvero la Ludwigia Peruviana, che troviamo anche nel 1450 nella casa del Pellegrino di Civate.

 

Mi riferisco al fatto che la nave su cui viaggia P.S. Malatesta con l’amata Isotta fa naufragio su un’isola sulla quale Pandolfo risiederà poi con la stessa, nella dimora di Zefiro.

Ricordo a beneficio del lettore che le Esperidi, da cui il titolo dell’opera, sono ninfe della mitologia greca che vivevano nell’estremo Occidente del mondo, oltre le terre abitate, e lo Zefiro un vento che soffia da ponente, usato appunto nelle traversate oceaniche.

Per quanto riguarda il naufragio di Pandolfo, invece, va detto che l’isola su cui approda ricorda moltissimo l’isola di Haiti, dove nella versione ufficialmente riconosciuta il 25 dicembre del 1492 avrebbe fatto naufragio la Santa Maria, la più grande delle navi usate da

 

Cristoforo Colombo e la dimora ricorda la prima costruzione in cui si insediarono i colonizzatori a San Salvador.

In questo senso, va specificato che Colombo non si avvalse di tre caravelle, bensì di due caravelle e una caracca, la Santa Maria appunto, di dimensioni maggiori rispetto alle altre due.

“Furono così allestiti tre velieri (di norma definiti, IMPROPRIAMENTE, caravelle), di cui una – la Pinta – dotata di alberi a vele quadre (CARAVELLA), e due – La Santa Maria e la Niña – dotate di VELA LATINA (quindi tecnicamente non nave dal punto di vista velico, perché non dotata di tre alberi a vele quadre, bensì CARACCA).”

Rappresentazioni di due caravelle e una caracca che lasciano un porto molto simile a quello ligure di Portovenere le troviamo una infinità di volte nei dipinti rinascimentali anteriori al 1492, a opera di artisti quali Botticelli (Nastagio degli Onesti), Pinturicchio (Libreria Piccolomini) e altri.

Un’altra circostanza curiosa da considerare, al proposito, riguarda la famiglia de’ Medici.
Cosimo, considerato il mecenate primo del Rinascimento, era padre di Piero de’ Medici, a suo volta padre di Lorenzo (il Magnifico) e Giuliano, amante di Simonetta Cattaneo Vespucci, figlia di una famiglia benestante di Portovenere e modella prescelta da Botticelli (che la ritrarrà ne La nascita di Venere del 1482).

Non mi dilungherò nel mostrare come Simonetta Vespucci si leghi profondamente alle vicende dei primi viaggi in America e soprattutto della querelle che ne conseguì per il controllo dei territori visitati.

Voglio invece portare l’attenzione sul fatto che Piero il Gottoso ebbe oltre a Lorenzo e Giuliano tre figlie: la più grande, Maria, illegittima, ugualmente cresciuta dalla moglie Lucrezia, Bianca, che sposerà un Pazzi e contribuirà fattivamente al tradimento che portò alla Congiura omonima in cui venne ferito Lorenzo e ucciso Giuliano (come dipinto da Botticelli), e Lucrezia che sposerà Bernardo Rucellai, figlio di una facoltosa famiglia di banchieri alleati dei Medici, e con questi verrà disegnata da Baccio Baldini nel 1466 sulla nave della Fortuna, in una incisione che darà poi ispirazione a Botticelli per il celebre dipinto La nascita di Venere (in cui vi è una chiara rappresentazione delle Americhe).

I rapporti tra la famiglia de’ Medici e il papato, prima del 1492, non erano dei più idilliaci, così come quelli con la famiglia Vespucci (anche a motivo della relazione furtiva di Giuliano con Simonetta Cattaneo Vespucci); sorprenderà quindi apprendere quali furono i soprannomi delle tre figlie di Piero il Gottoso: Nina, Pinta e Santa (forse a motivo della sua illegittimità).
Non solo portavano gli stessi soprannomi dati poi alle tre caravelle di Colombo, ma addirittura seguivano anche la stessa scala di grandezza e diversità in base all’età e alla legittimità (due caravelle e una caracca).
Le tre donzelle di casa de’ Medici le troviamo ritratte da Benozzo Gozzoli nel 1459 a Firenze, a palazzo Medici Ricciardi, nella cappella de’ Magi.
Il ciclo pittorico riunisce tutti i protagonisti del mondo ghibellino coinvolto nei primi viaggi transoceanici, e si contrappone al Concilio che nello stesso anno Pio II dispone a Mantova, detto della Dieta, con cui creerà di fatto un nuovo assetto politico e economico, che risulterà fondato dell’odierna società.
Questo ciclo offre una serie infinita di spunti, tutti volti a confermare una frequentazione delle Americhe ben anteriore alla vicenda di Colombo, ma al contempo offrendo spunti di riflessione e documentazione di primissimo valore. Innanzitutto va detto che a guidare il corteo, in cui si frammezzano dignitari e imperatori del mondo bizantino agli alleati dei Medici (Sforza, d’Este, Bentivoglio) non c’è Lorenzo, detto il Magnifico, bensì Mattia Corvino, discendente di quel mondo ungherese di cui già ho fatto cenno, che risulterà centrale nelle vicende dei primi viaggi in America.

Lorenzo, con il fratello Giuliano e le tre sorelle…

…accompagna Mattia a piedi, accanto al cavallo. Un’altra osservazione derivante da questo straordinario ciclo pittorico è che P.S. Malatesta nell’intero dipinto non c’è (scambiato erroneamente da alcuni per uno Sforza); anche per questo motivo propendo per la sua estraneità a tutta la vicenda “americana”, e sono portato a pensare che quanto narrato nell’Hesperis sia solo un goffo tentativo autocelebrativo di consegnarsi alla storia immotivatamente.

Il dipinto di Benozzo Gozzoli offre invece una infinità di altri spunti interessanti, che rimarcano una volta di più non solo una conoscenza diretta dei nuovi territori, ma addirittura raccontano scene di vita vissuta e personaggi nativi del luogo.

Alludo alla caccia al Mash Deer, un rituale proprio del territorio del Gran Chaco, inserita in nell’ennesima…

…rappresentazione dell’America del Sud, alla presenza di pappagalli esotici accanto a una rappresentazione dell’isola di Cuba, e la Cordigliera delle Ande, oltre alla immancabile araucaria.

Ma il particolare che più rimarcherei di questo ciclo, però, al di là della presenza di Leonardo da Vinci, la cui vita è strettamente condizionata dal clima politico e culturale conseguente alla questione delle Americhe, è costituito da Cosimo de’ Medici, spesso scambiato per Francesco Sforza al centro del dipinto, al seguito di Mattia Corvino, vicino a Alessandro Sforza, signore di Pesaro e Niccolò III d’Este (la cui sposa è Ricciarda di Saluzzo, che nel Castello della Manta custodiva una rappresentazione dell’America datata 1450).

Cosimo de’ Medici appare in posizione defilata, nei panni di un imperatore Inca, con il caratteristico copricapo piumato che diverrà identificativo nelle imprese di diverse famiglie partecipanti a queste prime escursioni transoceaniche.

La datazione del dipinto suggerisce il nome di Pachacutèc, fondatore dell’Impero Inca, che proprio nel 1459 morirà. Potrei continuare in questo modo all’infinito, riempiendo pagine e pagine e offrendo testimonianze multiple e inedite di una conoscenza pregressa delle Americhe ben anteriore a ciò che la storia ci consegna, ma chiaramente non è questa la sede più opportuna.
Quello che ho voluto mostrare, anche se sommariamente, è che tutta la vicenda legata a Cristoforo Colombo non è altro che una grandissima messinscena operata in concerto tra Spagnoli, Tedeschi, Portoghesi e lo Stato del Vaticano, a far data dal 1459, anno in cui Pio II indice il Concilio della Dieta di Mantova per appropriarsi indebitamente dei territori che in maniera totalmente pacifica vennero raggiunti e frequentati sin dai primi anni del XV secolo da esponenti del mondo ghibellino di allora.

Non è un caso che Ludovico Sforza fosse meticcio, come probabilmente lo era Lorenzo de’ Medici.
Si dice spesso che i primi a raggiungere le coste americane furono i Cinesi, i Vichinghi, i Romani … e chi più ne ha più ne metta.

La realtà è che il nuovo continente, nella sua totalità, era stato mappato molto prima dei Romani, e le conoscenze giunte a Ferrara e Firenze agli inizi del XV secolo lo stanno a dimostrare.

La precisione cartografica come quella costituita dal dipinto di Piero della Francesca conservato nel Tempio Malatestiano di Rimini, del resto, non lascia il minimo dubbio: non si traccia un intero continente con una precisione come quella mostrata nel dipinto attraverso una semplice osservazione puntuale sul campo con un sestante.

E non basterebbero cinque secoli per farlo, tra l’altro!
Il mondo, nella sua interezza, era conosciuto e mappato sin da molti anni prima, e già noto a Tolomeo, Eratostene e altri.
Il mito di Cristoforo Colombo (figura inesistente) è solo il frutto di una pessima stagione, quella conseguente al 1459, in cui Papi come Pio II, Sisto IV e soprattutto Innocenzo VIII ordirono una cruenta strategia volta a impossessarsi dei nuovi territori, addossandosi un pò come fece Pandolfo Sigismondo Malatesta in maniera goffa i meriti, e dettando il corso della storia nei secoli a venire.
La situazione geopolitica odierna, e conseguentemente economica e finanziaria, è il riflesso di un atto delittuoso che la ingenerò, trasformando un atto di fratellanza (in cui il mondo europeo e quello amerindi si abbracciarono in un incontro che arricchì entrambi, tanto che Filarete progettò la città di Sforzinda come base del Ducato in territorio Americano, con tanto di Piazzale cerimoniale per l’Inti Raimi, poi trasformato a Milano in Lazzaretto nel periodo pestilenziale) in una terribile storia di soprusi, violenze e sottomissioni, di cui ancora oggi la società moderna porta nel suo DNA i tratti indelebili.

Sarebbe finalmente giunto il momento in cui la realtà venisse acclarata, si smettesse di parlare di “scoperta”, un termine che porta in sé il gene della violenza e della supremazia, visto che il continente era massivamente abitato e aveva una profonda cultura immedesimata allo scandire della legge solare e naturale, prima del massacro operato dai colonizzatori cristiani e spagnoli.

Quella che viene celebrata in tutti i testi come il momento della rinascita dell’umanità intera, è in realtà un’operazione costruita a tavolino per cambiare il corso della storia, usando elementi di precedenti spedizioni transoceaniche e creando ad arte un navigatore che potesse vestire i panni dell’eroe, ma che di eroico non ha nulla.

La storia ci racconta invece che nei primi decenni del XV secolo avvenne un “primo incontro”, pacifico e cordiale, che purtroppo come sempre più accade si è trasformato in un atto di stupro, in cui ancora oggi i colpevoli vengono descritti come eroi, e le vittime dimenticate al loro triste destino. Potessimo prenderne atto, forse metteremmo un primo mattone per un nuovo Rinascimento

 

 

 

 

 

 

Alessandro Sicuro

    

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