Aprile 25, 2024

ALESSANDRO SICURO COMUNICATION

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☛ Tagli alle spese e alla crescita.

Tagli ritagli e frattaglie.

Giuliano Amato nominato super-consulente da Rigor Montis sui soldi pubblici ai partiti è uno schiaffo agli italiani.

Una pernacchia. Un potente vaffanculo della Casta. Una provocazione. E’ come buttare un fiammifero acceso in un pagliaio. Qualche volta mi chiedo se Monti e il Trio Lescano che lo appoggia abbiano veramente capito dove si trovano, in quale momento storico. L’Italia è sull’orlo del collasso economico, dopo il quale può succedere di tutto. Al confronto di Rigor Montis, di Alfano, Bersani e Casini, Maria Antonietta, alla quale venne attribuita la frase “Se non hanno pane, mangino brioches!“, rivolta al popolo affamato durante la Rivoluzione francese, è una statista.
Giulano Amato ha una certa esperienza nel maneggiare i soldi e di finanziamenti pubblici, è stato tesoriere del PSI di Craxi. Uno dei rari casi in cui il tesoriere fa carriera e il capo finisce sotto accusa e latitante. L’esatto contrario dei tesorieri Belsito della Lega e di Lusi della Margherita.
Si invocano i tagli e si imbarca un tizio che prende 32.000 euro di pensione al mese. E’ uno scherzo di Carnevale? Per le pensioni va applicato un tetto massimo di 3.000 euro. Sono più che sufficienti per vivere. Con il risparmio (valutabile in 7 miliardi di euro all’anno) delle mega pensioni, doppie e triple, dei vitalizi dei politici si apra un fondo per pagare i debiti che lo Stato ha con gli imprenditori che si suicidano al ritmo di uno o due al giorno. Affidare un incarico al superpensionato Amato per contenere i costi è una dichiarazione di guerra a chi non riesce a mangiare con la sua pensione e dopo il taglio di 200 euro al suo misero reddito decide farla finita buttandosi dal terrazzo. I sacrifici, o li facciamo tutti, o non li fa nessuno! Ma questo, Rigor Montis non lo sa. Non capisce che senza esempi, occupandosi di ritagli e frattaglie al posto dei tagli e senza l’appoggio dell’opinione pubblica, è già finito. Che sarà travolto. Un ferro vecchio a cui i partiti cercheranno di attribuire le colpe per poi essere spazzati via a loro volta.
Loro non si arrenderanno mai. Noi neppure. Ci vediamo in Parlamento (ma voi forse non ci sarete).

dal Blog di Beppe Grillo

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Enrico Bondi commissario per lo Spending Review italiano

Chi è Enrico Bondi

Dalla chimica all’energia, passando per i telefoni, le polizze e il latte. Ecco chi è Enrico Bondi, il commissario straordinario per la spending review

di Luca Romano – 30 aprile 2012, 20:30

Enrico Bondi, l’uomo candidato al ruolo di commissario straordinario per la spending review, vede così confermata ancora una volta la sua fama di risanatore, prima dei grandi gruppi italiani, e ora del bilancio pubblico. Vicino allo sbarco in Fiat alla fine del 2002, prima c’era stata la breve permanenza (terminata a febbraio 2003) alla guida di Premafin e della Sai, impegnata nella fusione con Fondiaria. Da Salvatore Ligresti, Bondi era stato chiamato nell’agosto 2002, quando aveva lasciato dopo 13 mesi l’incarico di amministratore delegato in Olivetti-Telecom, voluto da Marco Tronchetti Provera a seguito dell’acquisto del controllo da Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti.

Laureato in chimica, 78 anni, Bondi ha sempre mantenuto un basso profilo con poche esternazioni alla stampa. Alto, magro, riservato, si è spesso presentato come «un chimico, non esperto di scienze economiche». E proprio nella chimica, quella di Montedison, ha giocato quella che è stata, insieme a Parmalat, la sua sfida più importante. Dopo un passato alla Snia e alla Gilardini (allora della Fiat) fu chiamato da Enrico Cuccia a salvare la società di Foro Bonaparte sull’orlo della bancarotta per il crac Ferruzzi. Lontano dai riflettori, in perfetto stile Mediobanca, Bondi risale la voragine dei conti fallimentari.

«Ci sono riuscito – spiegò poi – facendo riferimento alle ’Lezioni Americanè di Italo Calvino, da cui ho tratto, coniugandoli nella gestione aziendale, i valori dello scrittore per il nuovo millennio: leggerezza, rapidità, senso dell’equilibrio, visibilità e coerenza».

Tutti valori che gli serviranno quando confermato come commissario per la spending review. Nel dicembre 2003, dopo aver orientato Montedison verso l’energia, approda in Parmalat come commissario straordinario dopo il crack del gruppo alimentare, che lascia nel luglio 2011 dopo l’Opa dei francesi di Lactalis: «Non sono riuscito a fare il salto di qualità, è una sconfitta», ammette lasciando Collecchio per l’ultima volta dopo anni di battaglie legali e azioni risarcitorie a danno delle banche creditrici del gruppo, fra cui alcuni colossi mondiali. In dote lascia un cuscino di liquidità da 1,4 miliardi di euro, dopo aver ereditato un buco da circa 14 miliardi. A ulteriore testimonianza della sua fama di risanatore dei conti.

CONCLUSIONI :

A.S.

Non è solo questione di tagli.

La “crisi globale” che stiamo attraversando, iniziata nel 2008 negli USA e poi diffusasi in tutto l’Occidente, non ha tra le sue cause la spesa pubblica italiana.

Anche se l’Italia fosse stata una nazione efficiente la crisi economica ci avrebbe colpito ugualmente ed i pericoli sarebbero stati gli stessi, magari più diluiti nel tempo ma sarebbero stati gli stessi.
 Perché la radice della crisi sta nella finanziarizzazione dell’economia mondiale, nel fatto cioè che il capitalismo globale ha puntato a fare profitti a breve facendo girare il danaro e non producendo e valorizzando beni. Ed a tal fine si è inventato dei prodotti finanziari tossici (con i quali ha impacchettato e rivenduto il debito privato USA) che hanno contagiato le economie di tutto il mondo, dopo aver arricchito (e continuando ad arricchire) una ristretta elite “oligarchica”. 
In sostanza ad una economia basata sulla produzione di beni si è sostituta una economia basata sulla finanza che opera sui mercati come se questi fossero dei tavoli da gioco d’azzardo.

Capisco che, grazie al tam tam mediatico, la nostra attenzione sia prevalentemente rivolta agli sprechi e ai nostri disavanzi di bilancio.

Ci sentiamo ogni giorno di più impotenti, (e ci inducono sempre più a credere di esserlo, ma questo serve anche a renderci docili alle loro imposizioni poichè in noi iniettano il siero della paura), ad intervenire sugli equilibri del potere vero e quindi, parafrasando Ulrich Beck, cerchiamo soluzioni biografiche a problemi che hanno una radice sistemica…
Ma io concentrerei di più l’attenzione dell’opinione pubblica su due semplici numeretti: 10 e 718:
. Il 10% è la percentuale degli italiani che posseggono il 50 % della ricchezza del nostro paese.
. 718 sono i trilioni di dollari che compongono il giro di affari dei derivati finanziari in tutto il mondo, cioè quei prodotti finanziari causa della crisi e che dopo il 2008 sono aumentati anziché diminuire. E 718 trilioni di dollari equivalgono a 10 volte il PIL mondiale.

E l’elite finanziaria che smuove queste ricchezze (sia quel 10% sia quei 718 trilioni) ha tutto l’interesse a sbarazzarsi dell’intermediazione degli Stati democratici con i loro apparati diffusi, i sistemi di controllo incrociati, le separazioni dei poteri, i corpi intermedi le Associazioni di categoria. 
Ed ha tutto l’interesse a ridurre a Stati alleggeriti, che svolgano solo funzioni a tutela della incolumità personale e senza più un sistema di welfare universalistico. E per ottenere ciò questa Elite oligarchica cavalca tutte le spinte populiste e qualunquiste (provenienti da destra e da sinistra) che possano creare nel paese le condizioni per smantellare lo Stato Democratico ed il Welfare.
 Questa precisazione era d’obbligo perché dobbiamo evitare di guardare il dito e non la luna che il dito indica.

SE L’EUROPA VUOLE  SALVARSI DEVE FARE L’IMPENSABILE

I tagli li richiedono le banche per le quali lavorano la maggior parte dei politici, in modo da garantirsi il rientro degli interessi da parte dei paesi “deboli”. Gli incentivi e la ricerca di asset profittevoli (come può essere il turismo per l’Italia) su cui puntare gli investimenti per veicolare la ricrescita servono al nostro malridotto paese per tornare a vivere.

A.S.

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