Aprile 25, 2024

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C’è vita fuori dall’euro?

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C’è vita fuori dall’euro?
“Non per l’Italia e l’Europa”

Dal dibattito tra Federico Rampini e il direttore del Die Welt, Thomas Schmid, emerge come un combinato di austerity e di spesa pubblica possa rilanciare l’economia, sull’esempio di quanto avvenuto negli Stati Uniti. L’euro sconta il suo peccato originale: la mancanza di unione politica tra i Paesi che vi aderiscono. Le economie possono marciare a ritmi differenti: il  rigore eccessivo, però, porta all’euroscetticismo

di WALTER GALBIATI

1339MESTRE – Una vita diversa fuori dall’euro esiste, ma non per l’Italia e gli altri partner europei. La risposta giunge alla fine del dibattito tra Federico Rampini e il direttore del Die Welt, Thomas Schmid. Rampini ha tracciato una panoramica di chi vive fuori dall’Eurozona, partendo dagli Stati Uniti e da come il Paese a stelle e striscie è uscito dalla crisi. L’artefice principale è stato Barack Obama, con una politica di stampo keynesiano che in quattro anni è riuscito a ricreare 7,5 milioni di posti di lavoro a fronte dei 10 milioni bruciati dal crack della Lehman Brothers ad oggi. “Obama, però, è riuscito a portare avanti la propria politica solo per due anni, fino a quando con le elezioni di mid term il Congresso è caduto in mano ai Repubblicani, che, dal canto loro, hanno combattuto un eccesso di deficit da parte dell’amministrazione Usa”, ha spiegato Rampini. Lo stallo politico al Congresso e lo shutdown in corso (il temporaneo blocco delle spese statali non funzionali alla vita del Paese), ne sono una prova.

“Dopo Barack Obama è intervenuta la Federal Reserve stampando moneta. La Banca centrale Usa ha iniettato nel sistema 3.000 miliardi di dollari e continua a comprare titoli del debito Usa al ritmo di 85 miliardi al mese”, spiega ancora Rampini. La Cina, e il Giappone di recente, hanno adottato una politica simile per sostenere la propria crescita, mentre l’Islanda, dopo il fallimento ha svalutato la propria moneta per risollevarsi. L’obiettivo della Fed, però, è di creare occupazione, tanto è vero che la banca centrale continuerà a sostenere l’economia fino a quando la disoccupazione non scenderà sotto il 6,5%, mentre la Banca centrale europea (Bce) punta al contenimento dell’inflazione. Ora serve un cambio di passo. “Il rilancio della spesa pubblica deve avvenire là dove possibile. La Germania vale il 28% del Pil europeo. Da lì devono ripartire i consumi”, sostiene Rampini.

Anche Schmid vede una vita possibile fuori dall’euro, ma è chiaro che se la Germania vuole contare qualcosa deve stare agganciata all’Europa, l’unico player in grado di contare a livello mondiale. “L’euro ha un peccato originale, quello di non avere avuto un’unità politica insieme a quella economica”, sostiene Schmid. E anche per lui una politica di solo rigore non può portare lontano. “La Germania è riuscita a risollevarsi grazie alle riforme del governo Schroder. Angela Merkel ne ha beneficiato, ora dovrà dimostrare di essere capace di fare un passo ulteriore. Il rigore va bene, ma non basta”, ha detto Schmit, aggiungendo però qualche perplessità sul fatto che la cancelliera sia il politico giusto per farlo.

Diversamente, se all’austerity non si associerà una politica di crescita e che tenga conto anche delle diversità tra i vari Paesi dell’Unione, si rischia una deriva euroscettica, per altro già in corso in molti Stati, dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Grecia. “Il debito non è il male assoluto: la stessa Germania ha beneficiato della cancellazione del debito dopo la prima guerra mondiale e le stesse imprese tedesche hanno potuto avere tassi più bassi perché altri Paesi pagavano spread più elevati”, ha aggiunto poi Rampini.

“In Germania non c’è egoismo. L’Europa ha però perso la sua capacità di progettare un futuro. Senza politica, l’euro non regge”, ha concluso Schmid, ventilando il rischio che il prossimo Parlamento europeo (le elezioni son oa maggio) possa essere affollato da euroscettici.

 

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