Si chiama amore, ma la parola
non depone. Si direbbe anzi
che di tutto alla fine resti solo
un’allusione a quel che s’insegue
o si rincorre, a scale scese
a corsa o semafori lisciati
dalla fretta.
Se poi t’imbatti nel tuo fantasma
o sembiante, a lui puoi chiedere
di te cosa sia stato, dopo tutta
quella ipocrisia sui nomi da dare
alle cose, che poi restie lo sono
per davvero.
Sembra un dispetto: la donna se ne va,
il filo di fumo recide l’orizzonte,
la serietà si smorza in risate fuori
luogo e noi perfino inteneriti
al capezzale del morente,
quando anche la ferita
è un marchio per vendere profumi.
Alessandro Tempi
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