Ottobre 4, 2023

ALESSANDRO SICURO COMUNICATION

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LA MODA ITALIANA RAGGIUNGE IL SUO APICE NEL 2023 DELL’8% A 90 MILIARDI

Dallanalisi dellultimo report dellArea Studi Mediobanca emerge che la moda ha raggiunto il suo apice e che, a partire dal 2023, ci sarà un consolidamento delle posizioni acquisite fino ad ora, con una crescita dei ricavi attestata su un incremento a una cifra, 8%. Le statistiche considerano 152 aziende italiane della moda con un fatturato superiore a 100 milioni di euro.

Stando ai dati dell’analisi, il 2022 conferma i dati positivi già annunciati tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 da Confindustria ModaSistema moda Italia e Camera nazionale della moda italiana. Secondo l’Area studi di Mediobanca, la crescita del giro d’affari nominale a livello aggregato ha raggiunto il 20%, facendo così arrivare il turnover a 82 miliardi di euro. Facendo il confronto sul dato pre-pandemia, ovvero il 2019, si tratta di un incremento di ben 21 punti percentuali. A trainare i ricavi, si legge nel report, sono le vendite all’estero, in accelerazione del 24% sul 2021. In progressione anche gli investimenti che dovrebbero attestarsi a un +35 per cento.

Per quanto riguarda l’anno in corso, come anticipato, l’outlook resta positivo, seppur con aumenti meno esponenziali rispetto all’ultimo biennio Si prevede, infatti, un ulteriore incremento del giro d’affari dell’8% che porterebbe l’aggregato delle cosiddette “maggiori aziende moda Italia”, ovvero quelle considerate nello studio, a sfiorare i 90 miliardi, “all’interno di uno scenario in rallentamento macroeconomico, in un contesto di tassi di interesse che vanno normalizzandosi verso l’alto e con le tensioni inflazionistiche in decelerazione”, specifica l’analisi.

La ricerca fornisce uno spaccato anche sull’andamento delle aziende fashion quotate, sottolineando come, tuttavia, la moda sia in realtà lontana dai riflettori della Borsa: solo il 17,5% del fatturato aggregato (12 miliardi di euro) è prodotto dalle undici società quotate del panel, mentre il restante 82,5% (56,6 miliardi di euro) è generato dalle 141 non quotate. Prendendo in considerazione i dati delle quotate, emerge come la capitalizzazione, dopo il rimbalzo del dicembre 2021 (+29,4% sul 2020), a fine 2022 sia tornata in negativo (-14,4% sul 2021), attestandosi a 37,6 miliardi di euro, pari al 5,3% del valore dell’industria della Borsa Italiana, esclusa Prada. “Nel primo scorcio del 2023 – aggiunge il report – si evidenzia una ripresa (+15,8% a metà febbraio 2023). Al 15 febbraio 2023 il podio di Borsa è occupato da Prada (15,9miliardi di euro), Moncler (15,7 miliardi) e Brunello Cucinelli (5,5 miliardi); medaglia di legno per Salvatore Ferragamo (3,0 miliardi), seguita da Tod’s (1,2 miliardi)”.

Il report analizza anche le proprietà straniere in Italia. Ebbene, 58 delle 152 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 43,6% del fatturato aggregato (il 24,2% è francese). Sul fronte della ‘diversità, aumenta la forza lavoro femminile nelle non quotate mentre, sul fronte del management, le quote rosa sono maggiormente rispettate nei board dei gruppi quotati (42 per cento).

Infine, dall’analisi dei bilanci di sostenibilità 2021 emerge la crescente attenzione alle tematiche ESG, accelerata dalla pandemia. Mediamente diminuiscono le emissioni di CO2 (-20,8%) e i rifiuti prodotti (-17,2%), mentre aumenta il ricorso alle fonti rinnovabili (dal 38,4% nel 2020 al 43,4% nel 2021) e la quota di rifiuti riciclati (dal 65,5% nel 2020 al 73,5% nel 2021). Relativamente alla supply chain, dall’analisi dei bilanci di sostenibilità emerge che i fornitori dei maggiori player italiani della moda sono mediamente localizzati per il 56% in Italia, per il 30% in Asia, per l’11% nel resto dell’Europa, per il 2% in Africa e per il restante 1% nelle Americhe. Il ricorso a terzisti italiani è massimo per le aziende di alta gamma (80 per cento). Rispetto al 2018, la mappa della supply chain appare oggi leggermente modificata a favore dei fornitori italiani che nel periodo 2018-2021 hanno aumentato il proprio peso specifico di due punti percentuali (dal 54% al 56%), a discapito soprattutto dei fornitori dell’Europa dell’Est e dell’Asia.

Alessandro Sicuro Comunication
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