Maggio 30, 2023

ALESSANDRO SICURO COMUNICATION

FREE PRESS & CULTURE ON LINE

IL TEOREMA DEI BAMBINI

Il teorema dei bambini

DA UN ARTICOLO GIA’ PUBBLICATO NEL 2010, ANCORA ATTUALE:

AFGHANISTAN

Oggi, la guerra afghana s’inserisce in un contesto di disagio che ad essa preesisteva. Mai in sede di analisi separare le cause dagli effetti…

È terrorismo non solo una nuova ipotesi penale per leggi e codici, non solo le bombe inattese che esplodono fra le gente ma anche l’informazione. Se è vero che vi è terrorismo, è vero anche che è terrorismo il dire ossessivamente che vi è terrorismo, che tutti sono in pericolo, ecc. ecc.L’immaginario collettivo deve solo poter ricollegare l’immagine delle twin towers distrutte alla notizia che a Milano vi è da anni un centro di cultura islamica. E il gioco è fatto. Il miglior complice del terrore qui e non solo è l’informazione.

afghanistan03L’apprensione – l’incertezza che grava sul bene della vita – è data dal fatto che s’insinui, nello spazio di riflessione rimesso a ciascuno di noi, una forte variabile indipendente: la guerra che “non è come tutte le altre”. Una guerra che c’è – produce effetti di morte, dà frutti politici ed economici – e nello stesso tempo è minacciata, ovvero la sensazione che tutti, nessuno escluso, si muovano dentro un percorso di guerra e ne debbano controllare, vigilando, gli sviluppi. Insomma la guerra che anche quando non le distrugge entra nelle case, e comunque una esperienza di impoverimento.

V’è chi giudica e decide per gli altri, e v’è chi parteggia. Ma a ognuno il suo: io, nella mia sensibilità spesso deviata, cerco di trovare un’Autorità, un Governo indiscusso, una spiegazione univoca, che non vedo, che non trovo; forse il “deus absconditus”, un grande architetto per stragi troppo teatrali e per vicende di morte di cui si è troppo spettatori. A momenti addirittura mi provo a negare che vi sia “guerra” o tutto quel “terrorismo” effettivo che si dice, se il terrorismo, per quello che ci ha insegnato la storia del novecento, è l’angolo nascosto delle condizioni di pace, e se vi è terrorismo nel dire che vi è terrorismo. Ma la cosa non funziona, e non perché vi sia contrasto immediato con l’evidenza.

Nulla m’impedisce però di osservare il comportamento degli Stati e dei Governi che si dichiarano contro il terrorismo, negatore dello Stato, e che allo stesso tempo si scoprono privi di una legislazione seria contro i terroristi, che pure esistono, quanto meno come figure criminali. Nulla m’impedisce di soffermarmi a considerare come la Grande Paura o il Terrore non siano nozioni nuove, ma provengano da quella “storia nella storia” che fu la Rivoluzione francese (già! Ma con quali e quante differenze?).

Afghan women sit on the ground as they w

È vero che vi è stata nei due mesi successivi alle stragi di New York e Washington una crescita d’informazione, soprattutto visiva: si è scoperto l’Afganistan più di quanto non lo si fosse già scoperto; si è scoperto il volto – anche nascosto – delle donne afgane. S’incomincia così a vincere una ignoranza durata troppo a lungo, e si cerca di capire; ma ciò da cui il cittadino nella sua passività è dominato è la evoluzione dei fatti bellici, laddove imperano odio, pura reattività, ignoranza e morte procurata.

Già!: ma se è vero tutto ciò che si sente, allora che cosa sentono i bambini, intendo dire quelli che vivono in prima persona questa nuova guerra; coloro che assolutamente non meritano la strage? Se v’è retrocessione, o “regressione”, ne inferisco, allora necessariamente molte popolazioni, con i loro bimbi, vivevano già retrocessi – culturalmente, moralmente, intellettualmente e dunque economicamente – e non sarebbero dovuti essere né rassicurante soggetto poetico né curiosa meta turistica.

Oh, sì, i bambini! Ovvero non posso non credere tuttora nel dovere di popolare la Terra, e qui la paura, cheimages non è la Grande Paura, si mostra compagna della tristezza.

Naturalmente, in questi giorni che seguono l’11 settembre – siamo entrati nel terzo mese, da quel giorno sciagurato e più che cupo – le sensazioni si moltiplicano, e cioè una sensazione ne genera molte altre.

Fra le molte, forse troppe, alle volte contraddittorie, predomina comunque almeno in me non la paura ma la tristezza. È triste non proprio che qualcosa come l’eccidio di Manhattan sia accaduto ma che possa essere accaduto e cioè che possa accadere; è triste sì che molto che aveva colore ora sia bruscamente impallidito; ma forse non in molti vedevano già perdita di colore; è triste perché molto facile la regressione in un passato oscuro e rarefatto ma che non è propriamente né storico né barbarico. È triste che la religione si confermi a ben riflettere “instrumentum regni” proprio laddove si voglia negare – ma solo da una parte – il carattere religioso del conflitto in corso.

E compagno della tristezza è il dubbio: laddove si levino inni all’evidenza (qui è il bene, qui il male; le cose sono andate così, responsabili di questo atto sono X e Y) io personalmente reagisco col dubbio, avvantaggiato dal fatto che vi siano obiettivamente, nella cronaca di questi giorni, troppi veli e troppe verità allo stesso tempo.

5Personalmente, in questo susseguirsi e sovrapporsi di sensazioni e di notizie sono rimasto colpito soprattutto da tre cose: la tristezza iscritta nei fatti in quanto regressivi, l’impotenza della gente “pacifica” (e soprattutto delle persone oneste) di fronte ai sommi giochi storico-politici per la conquista del potere mondiale e un invito, rivolto dal presidente degli Usa ai bambini d’occidente, che è più o meno del seguente tenore: “cercate di essere amici dei bambini dell’Islam”.

Mi sono detto: il conflitto riguarda gli adulti, i bambini non c’entrano. Anche se essi sono portati a ripetere gli atteggiamenti e i pregiudizi che i grandi hanno rispetto al mondo e alla vita; anche se vi sono stati ragazzi che hanno affermato di essere pronti a morire per la causa della guerra santa.

Questo è vero, e certo vi è contraddizione nell’animo fanciullo, ma non si può pretendere di più, se la contraddizione, come hanno insegnato i moralisti classici d’occidente, è nella morale stessa. La guerra strazia i corpi dei più piccoli finché la cultura degli adulti è portata a proteggerli. Ma paradossalmente la guerra in questo per lo più lambisce i più indifesi, ovvero anche: i bambini non c’entrano anche se ci sono bambini e bambini, come ci sono adulti e adulti.

L’invito del presidente americano è forse nel senso di una opportuna fraternizzazione, di un qualche ammorbidimento diplomatico a livello sociale (diplomazia dell’innocenza); è forse una foglia morta; ma – così lo voglio interpretare – esso racchiude in sé l’idea morale di una concrescita, che può rivelarsi molto importante e che merita di essere liberata. Da una parte è la società multirazziale, il nuovo mercato, a sospingere verso certe strategie di fratellanza; dall’altra la grande metànoia, il progetto di una riunione mondiale, una religione civile che unisca e non separi, non dovrebbe passare più attraverso i soli cattolici o i soli musulmani, non più attraverso gli operai o gli oppressi o i giovani, ma attraverso i bambini, chiamati a rappresentare tutte le razze.

Il bambino è universale, e ha il vantaggio di attingere senza saperlo a un pozzo inaccessibile ai giovani, agli adulti, agli operai…

images (1)Se i piccoli si abitueranno a coesistere in quanto bambini, allora le divisioni culturali, nazionali, religiose, e insomma adulte, storiche, s’indeboliranno; se i bambini non s’ignoreranno più l’un l’altro nella psicologia della vita quotidiana ma costruiranno assieme l’esperienza e la crescita, allora le distanze e barriere fra adulti si dovranno attenuare. Frequentare la medesima scuola, scambiarsi sguardi comunque significanti ed oggetti simbolici, giocare assieme fissando le regole del gioco con la cultura del patto, studiare assieme, fare merenda assieme, aiutarsi se serve: questi credo siano i modi iniziali alle volte già avviati (ma il problema è di contesto) dell’unica pensabile esperienza comune per un futuro già da migliorare.

Questo progetto, un po’ di sapore rousseauiano, ha il carattere della scommessa, ma a me piace vederlo – anche – come un teorema, il “teorema dei bambini”, o del “dopo innocente”: data la possibilità di una esperienza comune o di riunione, se questa esperienza è costruita sin dalla tenera età, con la mente che sia altrove rispetto alle diffidenze etniche e culturali, allora l’esistenza adulta non sarà governata necessariamente dalla ostile differenza e dalla reciproca ignoranza.

Paolo Pistone

Bio Prof.Paolo Pistone

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Paolo Pistone, romano, laureato alla ‘Sapienza’ di Roma (in tema di Dottrina dello Stato); opinionista, scrittore, saggista e blogger (http://letterantika.blogspot.it/; http://luciumane.blogspot.it/; http://assenzadiluna.blogspot.it/); studioso del pensiero filosofico, politico e giuridico. Ha collaborato con periodici e giornali, tradizionali su carta e on line (http://www.jei.it/; http://europagiovani.it/; http://www.articolionline.net/), tenendo anche lezioni e seminari presso varie università italiane.

Ha pubblicato tre libri: “Note su Bayle e sul carattere progressivo della ragione”, “L’anima e la macchina”, “Crepuscolo dell’uomo di Gutenberg” (www.lulu.com).

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