ARISTOTELE
L’ETICA NICOMACHEA
SINTESI
LIBRO I
1. “Il bene è ciò cui ogni cosa tende“. I fini delle azioni umane si identificano col bene, e sono ordinati gerarchicamente in modo corrispondente all’ordine gerarchico delle arti e delle scienze. Questo avviene sia per le azioni fine a se stesse, sia per le azioni che hanno come fine una realtà al di là di sè. Le arti e le scienze architettoniche subordinano a sè le altre indirizzandole ad un fine superiore.
2. Sapere cosa è il bene è utile per la vita pratica. Esso è oggetto della scienza più importante, e massimamente architettonica: la politica. Essa si serve delle altre scienze, ne stabilisce i limiti e le ordina al proprio fine, che si configura come il fine supremo, e quindi il sommo bene per l’uomo.
3. Il bene per l’uomo ha un carattere controverso, la politica quindi deve avere una trattazione approssimativa e non rigorosa: infatti è l’oggetto che determina il grado di precisione della ricerca che lo riguarda. Il matematico, per la natura dell’oggetto del suo conoscere, deve procedere per dimostrazioni rigorosamente dedotte, l’oratore invece deve essere persuasivo e può trascurare la logica. Così il politico deve essere preciso nella misura in cui questo è consentito dal suo oggetto, che non ha costanti assolute, ma che non è neppure aleatorio. La trattazione della politica è rivolta ai soli uomini maturi, che dovrebbero essere in grado di dirigere il loro comportamento, al contrario dei giovani, dominati dalle passioni.
4. Il fine della politica è il massimo bene raggiungibile dall’uomo e consiste nella felicità. Sono tuttavia molto diverse le opinioni sulla felicità: la massa la identifica con il piacere, la ricchezza o l’onore, i filosofi hanno diverse teorie: Platone pensa che esista un bene in sè, causa di ogni singolo bene particolare. Tra tutte le opinioni è sufficiente considerare le più diffuse e notevoli. E’ necessario in primo luogo stabilire da dove partire. Ciò da cui dobbiamo partire è ciò che a noi è più noto, cioè dall’esperienza. Chi ha una buona formazione morale conosce già i principi, gli altri imparino da questi.
5. La concezione del bene, e quindi della felicità, è ricavata dagli uomini dal modo in cui di fatto vivono. Tre sono i principali tipi di vita: la vita di godimento, la vita politica e la vita contemplativa. La vita di godimento è ordinata al piacere come proprio fine, è una vita di schiavitù alle passioni, degna delle bestie, essa è purtroppo spesso scelta da uomini potenti e famosi.
La vita politica è più nobile della precedente, ha come fine l’onore e quindi la virtù in forza della quale si diventa degni di onore. Tuttavia anche questo tipo di vita è inadeguato: l’onore infatti ci viene attribuito dagli altri e non è un bene personale, come la virtù. La stessa virtù ha il grosso limite di poter essere conseguita in situazioni di infelicità. Nè onore, nè virtà, presi singolarmente, possono quindi comportare il conseguimento della felicità.
Della vita contemplativa si tratterà più avanti nel corso della presente ricerca. Non è nemmeno il caso di considerare la vita di chi pone la felicità nella ricchezza: perchè dedicare la vita alle ricchezze è contro natura e perchè la ricchezza in sè non è un fine, e quindi rimanda ad un altro bene.
6. Il filosofo ha il dovere di preferire la verità all’amicizia: questo legittima la critica alla dottrina del bene di Platone e della sua scuola. Platone considera il bene come una “Idea”, cioè come qualcosa di comune, universale e uno. Tuttavia questo risulta insostenibile per diversi motivi: Il termine “bene” è polivoco, cioè ha tanti significati quante sono le categorie. Il significato del bene secondo la sostanza è anteriore a quello secondo le categorie, essendo la sostanza anteriore alle categorie. I platonici però non ammettono questo rapporto di anteriorità-posteriorità. Il termine è “bene” è polivoco come il termine “essere”: se non fosse così non sarebbe predicabile di tutte le categorie. Del bene ci sono più scienze, in relazione alle singole categorie; se il bene fosse una Idea, del bene ci sarebbe una sola scienza. Tra il “bene” e il “bene in sè” non c’è differenza di significato, quindi non c’è neppure differenza ontologica, sebbene al “bene in sè” sia attribuito il carattere di eternità. I seguaci di Platone, inoltre, non distinguono il “bene in sè” dai singoli beni strumentali, cioè relativi al primo. Il termine “bene in sè” può quindi significare il bene conseguito senza che sia un mezzo per raggiungere un altro bene, oppure l’Idea del bene, la quale però è vuota se non contiene tutti i singoli beni. In ogni caso il significato di “bene” dovrebbe essere lo stesso se dipendesse da una sola Idea; invece le realtà concrete che possono essere considerate beni, come la saggezza e il piacere, hanno tra loro definizioni diverse.
La presente ricerca non mette a tema il bene in generale, ma il bene per l’uomo, cioè il bene che l’uomo può realizzare con la propria azione. In ordine a questo serve un sapere, che tuttavia non ha il fine di conoscere il bene in assoluto, ma il bene dell’uomo.
7. Il bene che l’uomo realizza, acquisisce, con la propria azione è il fine dell’azione, e varia in relazione al tipo di azione. Il fine ultimo viene voluto sempre per sè e mai per altro. Questo bene supremo è la felicità, su questo sono tutti d’accordo. La felicità basta da sola a rendere amabile la vita, cioè autosufficiente. L’autosufficienza non va intesa in relazione al singolo individuo, ma all’intera comunità: la famiglia, gli amici, i cittadini con i quali il singolo vive. Per definire la felicità è in primo luogo necessario comprendere se esiste una funzione specifica dell’uomo in quanto tale. Se esiste il bene umano consisterà nell’esercizio di questa azione. Questa funzione non può coincidere con la vita vegetativa, perchè è comune a tutti i viventi, nè con quella sensitiva, perchè è comune a tutti gli animali. E’ necessario quindi affermare che la funzione specifica dell’uomo è la vita intesa come attività della parte razionale dell’anima. Tale attività, perchè si possa parlare di felicità, non deve essere episodica, ma di compiuta durata.
8. L’indagine non può procedere solo per via deduttiva; essa deve anche considerare le opinioni correnti, per evidenziarne gli elementi di verità e rigettarne gli errori. I beni sono comunemente divisi in beni esteriori, beni del corpo e beni dell’anima. Solo i beni dell’anima sono i veri beni: questa affermazione è antica e ha il consenso dei filosofi. Le teorie correnti affermano che la felicità consiste nella virtù, nella saggezza, nella sapienza, in tutte queste cose insieme, in una di queste unita al piacere, in una di queste unita al piacere e ai beni esteriori. La felicità è da identificare con la virtù, con l’esercizio della virtù: questo implica anche il piacere. La felicità è ciò che per l’uomo è più bello, buono e piacevole, essa richiede, per sussistere, anche beni esterni all’individuo, come amici, denato, potere e così via.
9. La felicità è il più grande bene umano, essa è accessibile a molti, purchè non siano costituzionalmente negati. Non è accessibile agli animali, perchè non possono compiere azioni virtuose, nè ai bambini, perchè la loro vita è solo incipiente e la felicità richiede una vita compiuta.
10. Solo alla morte di una persona si può capire se essa è stata felice. La felicità non consiste certamente con la morte, tuttavia allora le vicende della vita avranno termine, e nessun male potrà colpirle, tranne forse una disinorante degenerazione della discendenza. La felicità si fonda sulla virtù, questa può rimanere fino alla morte, nonostante le eventuali disgrazie che possono accadere. Queste saranno anzi utili occasini per l’esercizio della magnanimità e della nobiltà d’animo.
11. Non si può negare che le sorti di amici e discendenti tocchino in qualche modo quelle del defunto: ciò sarebbe in contrasto con la foraza dell’amicizia, e con le opinioni comuni. Tuttavia è necessario comprendere che le buone o cattive azioni dei vivi non possono avere alcun effetto su chi è morto.
12. La felicità non deve essere lodata. Merita lode ciò che ha una certa qualità o ciò che è relativo a qualcosa d’altro, ma la felicità non è un bene relativo, come non lo sono gli dei. La felicità è per l’uomo il bene assoluto, è quindi superiore ad ogni lode e meritevole solo di onore. La felicità inoltre è il principio di ogni nostra azione, essendo la causa finale: in quanto principio e causa di ogni bene è divina e degna di onore.
13. Il politico deve sapere qualcosa dell’anima per avere una visione globale dell’uomo, e perchè la virtù e la felicità, cui deve indirizzare se stesso e gli altri sono attività dell’anima. Ciò che serve a questo fine è già stato trattato negli scritti essoterici. L’anima si divide in due parti: una razionale e una irrazionale. La parte irrazionale si divide in nutritiva (o vegetativa) e desiderativa. L’anima nutritriva è comune a tutti gli esseri viventi ed è tipica dei vegetali, essa è il principio della nutrizione e dell’accrescimento. L’anima nutritiva non interessa al politico in quanto non ha nulla di specificatamente umano e non riguarda la virtù dell’uomo. La parte desiderativa dell’anima da una parte contrasta con la ragione e le si oppone, dall’altra partecipa della ragione stessa, perchè è in grado di ubbidire ai suoi comandi. La tripartizione dell’anima ha il fine di distinguere le virtù in virtù etiche, proprie dell’anima razionale e virtù dianoetiche, proprie del pensiero.
Dedicato a Massimiliano:
21-GIUGNO-2018, Esami : “è di Aristotele la versione di Greco proposta al liceo Classico per la seconda prova scritta. Il brano è tratto dall’ Etica Nicomachea, una raccolta di appunti di Aristotele, la sua opera più importante, che può essere considerata il primo trattato sull’etica. L’Etica Nicomachea fu scritta in più di dieci anni”.
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