Chi ci ha lasciato in eredità questo futuro?
Huxley e il suo Mondo Nuovo
Dedicato a Massimiliano…
Il cervello assorbe informazioni ad una velocità incredibile durante il sonno, indottrinato da questo concetto ho cercato spesso di auto infliggermi dei mini corsi di programmazione neuro-linguistica durante il sonno ma con scarsi risultati. Mi sono chiesto allora come potessero realizzare quei fantomatici padroni del mondo descritti nei libri di fantascienza, per ottenere il condizionamento globale, portando tutti o quasi ad adeguarsi allo standard misurabile oggi.
L’hanno però scoperto tutti i vertici del mondo, le persone che contano, insomma. Ed è con l’ipnopedia e il condizionamento che hanno creato questo Mondo Nuovo. (Reality, Talkshow, e tutti i vari concorsi canori ) sono certo fanno parte del gioco.
“Non c’è civiltà senza stabilità sociale. Non c’è stabilità sociale senza stabilità individuale.” E così eliminiamo la tragedia. Eliminiamo il dolore, le lacrime, le mancanze. Ma che cos’è il desiderio, se non mancanza? Eliminiamo anche il desiderio, allora. No, guarda, facciamo così, eliminiamo tutti i sentimenti. Ogni cosa che appare leggermente profondo si abolisce.
Così per qualche decennio vissero tutti felici. Condizionati da prima di essere nati ad essere felici e contenti nel proprio orticello. Senza affetti. I bambini nascono in vitro. Le famiglie non esistono. Si pratica sesso libero. La monogamia è severamente vietata. “Tutti sono di tutti!” Ripetuto cento volte, tre notti a settimana, per quattro anni. Felici di essere Alfa, Beta, Gamma, Delta e persino Tera và…. Soddisfatti del proprio lavoro. Un popolo felice. Un popolo condizionato a non pensare. Perché pensare quando esiste la “soma”? “A gram is always better than a damn”, “one cubic centimetre cures ten gloomy sentiments”. Una droga obbligatoria, da prendere nel tempo libero, senza effetti collaterali. Il prezzo della felicità: la libertà. I sentimenti. L’identità individuale. La solitudine. La scelta. La malinconia.
«How beauteous mankind is! O brave new world that has such people in’t!”» («Com’è bello il genere umano! Oh mirabile e ignoto mondo che possiedi abitanti così piacevoli!»). È quasi ironico che questa citazione derivi proprio da La Tempesta di Shakespeare. Quando John il selvaggio la pronuncia davanti del meraviglioso mondo nuovo in cui sta entrando, non può apprezzare la triste ironia. Definire con le parole di Shakespeare un mondo in cui per Shakespeare non c’è più posto. Un mondo che di tempestuoso non ha più niente. Assolutamente niente. Anzi, tutti sono felici! Felici consumatori, felici lavoratori, felici comunità. Felici pappagallini, che non fanno altro che ripetere gli stessi slogan che vengono loro dati in pasto tutti giorni durante il sonno dalla nascita. Non hanno scelta. Non esiste scelta. Talvolta qualcuno nasce imperfetto, un po’ troppo intelligente. Con un’inclinazione al pensiero, ad ammirare la luna, a desiderare cose che non può ottenere. Non c’è pericolo, viene spedito direttamente nelle comunità isolate con gente come lui. L’importante è che non infetti con il suo disgustoso pensare la comunità. Avete mai avuto la sensazione che esprimere la vostra profondità in pubblico potesse farvi guardare come dei perfetti stupidi o idioti? lo so accade…
Stiamo andando in quella direzione? Quest’ossessiva ricerca della felicità mi preoccupa. Felicità ovunque mi giro. Felicità in ogni cartellone pubblicitario. In ogni supermercato. Su ogni canale. Non se ne può sfuggire.
I nostri pensieri sono davvero nostri? O frutto del condizionamento di altri? il tipico innesto cerebrale di qualcuno che ha a cuore la tua “tranquillità”. (nuovo ordine mondiale)
Perché cerchiamo la felicità così ossessivamente quando sappiamo che dieci anni di felicità potrebbero non darci niente rispetto ad un anno di tragedia? I poeti scrivono forse quando sono felici? no…!
Lessi qualcosa in proposito qualche tempo fa, in cui si parlava di completezza piuttosto che felicità. Cerchiamo completezza, noi esseri umani, più che felicità.
Come John il selvaggio, io rivendico il diritto di essere infelice. Rivendico il diritto alla tempesta. E così ad essere completo. Il mondo nuovo di Huxley è una parabola inquietante e inquietantemente vicina a noi. Ancora una volta, la fantascienza si profila all’orizzonte come una Cassandra mai ascoltata. Peggio ancora del mondo di 1984, questo nuovo mondo di schiavi felici colpisce perché è plausibile. La violenza esplicita provoca rivoluzioni. Ma la violenza subdola alla nostra libertà intellettuale, quella è difficile da scorgere. La violenza del condizionamento, dell’omologazione. Huxley se l’era immaginato nel 1932. E noi ancora qui, oggi, che neghiamo. Non facciamoci rubare la tempesta per favore, facciamolo per noi, per le nostre donne che amiamo, per i nostri figli perchè non debbano accorgersi che i loro papà si sono dimenticati dell’isola che non c’è.
Ricordo un bellissimo periodo nel quale i miei figli, che ancora non erano stati contaminati dal mondo, quando per essere il loro eroe, raccontavo dell’isola che non c’è, dove ognuno vola solo se ha il cuore pieno di emozioni, non importa se gioiose o tristi, ma di vere emozioni.
Alessandro Sicuro
…Ieri mi hai chiesto un consiglio su quali libri leggere nel we, quali potrebbero essere piu’ adatti per me, hai aggiunto, io ti dico nel frattempo leggi questo articolo, ma senza dubbio Aldous Huxley è la lettura per te figlio mio…
IL “DIRITTO ALLA TEMPESTA” come dici tu…
Più che altro, il “mondo nuovo” di Huxley – che vanta tanti incisivi aspetti di preconizzazione, rispetto alla società globalizzata – sembra solo in parte realizzabile.
Sembrano per lo più forti venature, per il semplice fatto che esistono da sempre le classi sociali (ma ciò valga ‘a fortiori’ per gli individui o volendo le ‘persone’) e cioè che esse tendono a riformarsi comunque, trascendendo pur nell’attuarli i fini posti sino da quattro-cinque padroni del mondo, che ‘tengono in mano’ i fili della umanità (tesi peraltro, questa dei burattinai, soggettivistica, amica della emotività e non esente da suggestioni)…
Dici quindi spiegabilmente a un certo punto, lanciando un messaggio di liberazione: “Rivendico il diritto alla tempesta” e ancora: “Non facciamoci rubare la tempesta per favore”… laddove “la tempesta” è notoriamente un titolo shakespeariano…
Io personalmente temo d’illudermi quando credo di poter collocare il mio esercizio del pensiero – il più astratto possibile – al di fuori della storia delle classi sociali e della vita economica… Se penso è perché non mi voglio identificare nella classe alla quale oggettivamente appartengo… anche se dentro di me ripeto: la piccola borghesia, ideatrice della libertà moderna e costituente, eccelle per la capacità di pensare, per giunta in modo indipendente… Il che non contrasta in modo necessario con il desiderio mio come di chiunque altro di liberarsi da qualsiasi vincolo…
Tu dici: “Quest’ossessiva ricerca della felicità mi preoccupa. Felicità ovunque mi giro. Felicità in ogni cartellone pubblicitario. In ogni supermercato. Su ogni canale”. È vero e anche: tanta musica… sennonché poi quel “Non se ne può sfuggire”, che segue, rischia di essere poco conseguente, ché il messaggio lo ha già ridicolizzato e… tutto appare stupido… anche se l’aver scoperto la verità di una cosa non implica la sparizione di quella cosa; anche se è vero che le ‘forti venature’ sussistono comunque e sono date dalla morale degli schiavi, presi in un gioco più forte dell’intelletto…
Vi sono i bisogni, le ambizioni, la volontà di potenza, il fanatismo, al di sopra della felicità, perché quelli possono fornire il piacere in forma e grado superiori, assegnando quella che si definisce appunto “felicità” agli orizzonti delle classi economicamente subalterne, che amano interpretare i sogni… che usano scindere con indifferenza le cause dagli effetti… e stabilizzare la loro vita quotidiana…
Diceva la mia amica, grande poetessa, vicina ai Moravia e ai Pasolini, morta suicida: la poesia è la ricchezza dei poveri…
La felicità, dunque… io mi focalizzo qui…
Essa, in quanto ossessione, ha indubbiamente il merito di ossessionarmi… e a quel punto, che felicità è?
Essa somiglia al riso quale evasione, superficializzazione; oppure: è come spostare instancabilmente in avanti, senza sapere di quanto esattamente, le lancette dell’Orologio… e sorridere…
Personalmente dunque sono avverso al porre la felicità in cima ai desideri, come suole fare tanta psicologia… che sembra voler addomesticare, ipnotizzare, ecc. e prestarsi al gioco del mondo nuovo di Huxley… laddove ti è chiesto per lo più di abituarti… ed è pur vero – ahimè! – che scrivere le cose che scrivo, con compiacimento, cercando la correttezza, mi rende un po’ felice… e che ogni felicità ha un sapore religioso…
A mio parere, essere contro la felicità-mito è un che di prezioso, perché apre ai miglioramenti del mondo… o almeno favorisce quello slancio derivante dalla coincidenza illusoria del miglioramento generale e del proprio…
Giusto rivendicare il “diritto alla tempesta”, dunque: è un po’ quello che diceva Stuart Mill, se non erro: il mondo lo fanno gli insoddisfatti…
Paolo Pistone
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