-BITCOIN BANDITI E SORVEGLIATI DALLA MAGGIOR PARTE DELLE BANCHE GLOBALI
-IL SELF BANKING UN FENOMENO NUOVO CHE ATTRAVERSO LE NUOVISSIME TECNOLOGIE TOGLIE LO STRAPOTERE AL SISTEMA BANCARIO
-SATOSHI NAKAMOTO L’IPOTETICO IDEATORE DI QUESTO SISTEMA DI MONETA DIGITALE
-SI COMPRANO GIA’ VILLE DA 600.000$ = 1000 BITCOIN
In Russia e in Cina è stata messa al bando, ma nella maggioranza dei paesi la nuova moneta elettronica viene usata sempre più spesso per investimenti e scambi commerciali. In Italia la materia non è ancora regolamentata. Eppure ci sono centinaia di negozi ed attività (oltre a bancomat) che l’hanno adottata come divisa alternativa all’euro. Tanto da cambiare le nostre abitudini
di GLORIA BAGNARIOL, VALERIA FERRANTE e LUCA FERRARI, con un commento di ELENA POLIDORI
Parliamo di bitcoin, la moneta virtuale inventata nel 2009 da un anonimo giapponese conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, sulla cui vera identità regna il più fitto mistero. Dietro questo nome si celerebbe un gruppo di centinaia di persone esperte in crittografia, sistemi peer-to-peer, tecniche per le transazioni bancarie in rete.
Nel giro di quattro anni l’invenzione di Nakamoto ha raggiunto un interesse planetario. A Bali una villa è stata da poco venduta a un anonimo compratore texano per 1000 bitcoin, ovvero il corrispettivo di 600mila dollari. E molti fans si stanno adoperando per usarla anche per le proprie aziende. Circa il 10% dei bitcoin circolerebbe nel commercio, mentre alcune statistiche pubblicate in rete parlano di circa due milioni e mezzo di utenti.
Basta uno smartphone. In Turchia, Nigeria, Ghana, paesi ormai “tecnologici”, i bitcoin spopolano. In Africa, se un utente vuole acquistarli con scellini kenioti può farlo: basta avere uno smartphone. Si collega al sito M-Pesa, sul portale giapponese di MtGox (che però ora rischia la liquidazione), e il gioco è fatto: senza alcun passaggio di intermediazione, alcun controllo di movimentazioni dei conti correnti bancari, o “soggetti” che garantiscano la corretta gestione delle operazioni. Non è un caso che ci sia già chi profetizzi l’era di un’unica e-money mondiale.
Anche in Italia la bitcoinmania si estende a macchia d’olio. A Roma, pochi giorni fa, è stato installato il primo bancomat per bitcoin. Davanti all’ingresso della stazione Termini gli utenti possono comprare e vendere bitcoin.
Dalla Lombardia alla Sicilia sempre più attività – hotel, B&B, psicoterapeuti, odontoiatri, studi legali e d’architettura, centri yoga, servizio taxi e tanti altri esercenti – offrono la possibilità ai clienti di comprare con la valuta elettronica. Secondo un primo, sommario rilevamento, sono più di duecento gli esercizi commerciali che nel nostro Paese hanno già aderito al bitcoin ed espongono in vetrina il suo simbolo: una B dorata con le stanghe che ricalca un po’ il dollaro. Prima in classifica tra le regioni italiane è la Lombardia con 46 esercenti che accettano pagamenti con bitcoin. Al secondo posto c’è il Veneto, 30 punti vendita, seguono l’Emilia Romagna e il Lazio con 25; 21 in Piemonte. Nel Sud la Sicilia registra 17 attività commerciali. Tra questi Xexo, un sexy shop di Catania.
Tentativi. “Dalla fine degli anni ’90, sono stati numerosi i tentativi di varare nuove monete elettroniche: dai Mojones, ai fagioli Beenz, ai Flooz, all’e-Gold, fino ad arrivare a bitcoin”. A parlarne Umberto Rapetto, ex ufficiale della Guardia di Finanza, un pioniere nelle indagini informatiche e uno dei maggiori esperti di e-cash, cyber riciclaggio e truffe telematiche. “Il fenomeno bitcoin è apparso in un momento storico di maggiore maturità dell’utenza – racconta Rapetto – Per esempio un nuovo cyber-soldino targato Facebook può sfruttare la diffusione del social network per trovare consumatori disposti a pagare applicazioni, servizi con la moneta locale, ma è difficile immaginare rivoluzioni copernicane sul fronte finanziario”. La stessa Bce (Banca centrale europea) tende a escludere ripercussioni sull’economia reale, tuttavia non nasconde che è “opportuno monitorare l’interazione tra le valute virtuali e il mondo reale”.
Una delle maggiori preoccupazioni, messe in evidenza da uno studio effettuato dalla Guardia di Finanza nel 2013, sono gli effetti che l’e-money potrebbe avere “se fosse percepita dagli utenti come sostituto della valuta reale”. Quanto accaduto nell’isola di Cipro ne è un esempio. Nell’aprile 2013 l’impossibilità di avere moneta corrente a seguito della chiusura delle banche, ha generato tra i ciprioti una fuga verso la crittomoneta. Chi possedeva euro o investiva per evitare i rischi dei mercati azionari li ha sostituiti in bitcoin alimentando la bolla speculativa. Il tasso di cambio della moneta virtuale ha raggiunto picchi record.
Se nel 2010 i bitcoins valevano 0,0041dollari quindi con 100 dollari se ne potevano acquistare 24mila 390, nel 2013 per acquistare la stessa quantità di bitcoin erano necessari oltre 6 milioni e 300mila dollari. Non è da escludere, come sottolinea la Guardia di Finanza nel dossier, che la crisi economica possa fungere da “catalizzatore nella diffusione di simili strumenti”.
Timori a cui si aggiungono quelli sul suo utilizzo da parte della criminalità organizzata recentemente rilanciati in un’intervista a Repubblica dal colonnello Alberto Reda, comandante del Nucleo frodi tecnologiche delle Fiamme Gialle.
Promozioni. In Italia è nata da circa un anno la Bitcoin Foundation Italia, prima associazione nazionale senza scopo di lucro dedicata alla promozione della crittomoneta: “Noi sosteniamo il diritto universale di ogni uomo di effettuare libero scambio in attività finanziarie, senza alcuna interferenza da parte di terzi. “Siamo convinti che la finanza decentralizzata possa consentire un’economia, una società libera e giusta”. Questa la loro missione, come si può leggere sul sito.
Certamente, una delle caratteristiche più interessanti della valuta virtuale è di essere interscambiabile col denaro corrente tramite appositi servizi di cambio. Ma c’è di più. L’intero sistema è controllato e supervisionato dall’insieme dei suoi utenti attraverso una struttura peer-to-peer. E con la grave crisi economica in corso alcuni esperti non escludono che la moneta virtuale possa diventare un bene rifugio come l’oro. I dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer sotto forma di “portafoglio” digitale o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili ad una banca.
Sembrerebbe il trionfo di un’economia democratica (o più semplicemente che sottrae forza allo strapotere delle banche tradizionali), regolata dal basso e partecipata. Ma è davvero così? Una minaccia ai “portafoglio digitale” è rappresentata certamente dagli hacker. E non solo. “Il “corporate” e l'”home banking” hanno portato i tradizionali sportelli bancari sulle scrivanie degli uffici, delle case, consentendo a chiunque di immettere denaro nel circuito creditizio, di effettuare pagamenti, di movimentare capitali. Agenzie e filiali si sono centuplicate. “Ogni presa telefonica può consentire a un piccolo computer di entrare in rete, trasformarsi in una postazione bancaria”, spiega ancora Rapetto. “Le organizzazioni criminali – aggiunge – non perdono tempo, non esitano a sfruttare i vantaggi delle opportunità che l’odierna tecnologia è in grado di offrire”.
Negli Usa sono finiti sotto accusa Robert M. Faiella e Charlie Shrem, ideatori del Bitcoins Exchange, sistema attraverso il quale la moneta virtuale si può vendere e comprare. Secondo l’Fbi ripulivano denaro proveniente dal traffico illegale di farmaci legato a “Silk Road”, una delle piattaforme online più importanti per quanto riguarda il commercio illegale di droghe via web.
Anno zero. In Italia sul fronte della regolamentazione dell’uso dei bitcoin siamo all’anno zero. Sergio Boccadutri, deputato alla Camera (prima nel gruppo di Sel oggi nel Pd) è stato fra i pochi a depositare un emendamento, il 17 gennaio 2014, per chiedere una norma che inquadrasse giuridicamente i bitcoin. Emendamento che è stato però ritirato. Adesso la questione sembra riaprirsi: “Ho da poco depositato in Commissione Bilancio della Camera dei Deputati la richiesta di un’indagine conoscitiva in materia di crittovaluta elettronica”, conferma il parlamentare. “E’ giunta l’ora che in sede parlamentare si affronti l’argomento per capire in che modo regolamentare questo fenomeno”.
“Già nel 1999 a Trento, al congresso sul cyberlaundering“, ricorda Umberto Rapetto, “spiegai cosa stava accadendo, ma nessuno si è turbato più di tanto. Adesso l’argomento va affrontato senza attendere oltre. Se le Banche Centrali temono di perdere posizione, di veder sminuito il loro ruolo, forse sarebbe il caso che cominciassero a pensare ad un e-euro o ad un e-dollaro”.
“Così ha cambiato la mia esistenza” di LUCA FERRARI
CATANIA – “Il bitcoin mi ha dato un’occasione per vivere dei frutti del mio lavoro. Prima ero relegato ai margini del mercato del lavoro, ora posso pensare a un futuro”. Cripto84, questo è il suo nickname, è un ex editore di 29 anni di un paesino della provincia siciliana, che ha dovuto chiudere la sua attività perché non riusciva più a pagare le tasse. “Mi trovo anche nella situazione di essere portatore di handicap al 100% quindi mi è stato impossibile ripiegare sul lavoro in nero, come il muratore o il cameriere, così come fanno le persone dalle mie parti”. Nel dicembre del 2012 nasce l’idea del commercio agro alimentare in Bitcoin e da lì la svolta: “Ho iniziato con un paio di chili di farina e 30kg di arance da cui ho ricavato 12 bitcoin, ora faccio 20 spedizioni al mese”.
In che modo il bitcoin ti ha cambiato la vita?
“La situazione lavorativa per portatori di handicap in Italia è disastrosa: il settore pubblico non riesce ad assorbirli tutti, e nel privato è davvero difficile lavorare. Nonostante le leggi in nostro favore, nel 60-70% dei casi, noi disabili, siamo condannati a una vita sul filo del rasoio. Con il Bitcoin basta offrire beni e servizi di buona qualità con piccoli capitali e si può iniziare un’attività fiorente. Io sono partito con 50 euro. Le barriere di ingresso per aprire una normale attività imprenditoriale sono soprattutto le tasse, con il Bitcoin hai il carico fiscale sul credito che effettivamente scambi in euro”.
In che cosa consiste il tuo lavoro?
“Commercio prodotti agroalimentari biologici. Mi occupo del vivaio e organizzo tutto. Inoltre, compro una parte della merce che vendo dai contadini e pastori locali, che rispettano i miei standard”.
Che lavoro fa tuo padre?
“È un pescatore ma mi aiuta anche a coltivare i miei prodotti. Qualche mese faceva l’operaio edile in nero, finché non è stato licenziato perché si era rotto un piede. Non ha nemmeno avuto un’indennità. Dalle mie parti, anche per un lavoratore in nero è una regola tacita”.
In che modo commerci i tuoi prodotti?
“Attraverso il forum bitcointalk. org ho aperto un post dove c’è un elenco di tutti i miei prodotti e le persone me li comprano pagandomi in bitcoin. Appena pagano faccio un pacco e lo spedisco tramite corriere”.
Quanto guadagni in un mese con quest’attività?
“È difficile dirlo con precisione, molto dipende dal prezzo del momento. In genere ho dei guadagni netti intorno ai 2000 euro equivalenti, ma cambio solamente quello che mi serve per vivere, circa 800 euro (in Sicilia la vita costa poco). Il resto lo conservo come investimento: nel 2012 un bitcoin costava 10 euro ora ne vale circa 500”.
800 euro sono quelli che dichiari al fisco?
“Esatto. Ma questi soldi non li dichiaro tutti io. Facciamo a rotazione: un mese io, uno mia madre, e uno mio padre, in modo da non superare i 5000 euro l’anno. È una situazione un po’ ambigua ma diciamo che l’ambiente sociale che si sta creando in Italia non mi lascia altra scelta. Per una persona nella mia situazione il futuro fa paura e, dato che io ho sempre fatto di tutto per essere autonomo, farò di tutto per non trovarmi in difficoltà”.
Ora non ci sono regole e leggi chiare sui bitcoin?
“No, non ci sono. E questo è un vantaggio perché dà opportunità alle persone di sviluppare le idee e di far circolare un grande flusso di denaro. Io sono ancora relativamente piccolo, la produzione alimentare è molto regolata e controllata, ma spesso questo si riduce a una compravendita di bollini o la corruzione di qualche ispettore sanitario, cose che sinceramente fanno abbastanza schifo. Io posso considerarmi uno fra i pochi che è veramente appassionato di agricoltura, con cognizione di causa e un’ampia istruzione scientifica”.
E che ci fai con i bitcoin che accumuli?
“Li metto da parte per non essere in difficolta per quando non potrò più lavorare”.
Accumuli bitcoin per la tua pensione?
“Sì. A causa della mia malattia devo essere pronto molto prima di una persona normale. Come target mi sono posto di poter andare in pensione, se lo desidero, a 35 anni. Se starò bene lavorerò oltre quel limite”.
Quanti bitcoin hai accumulato finora?
“Questo è un segreto!”.
“Il segreto della moneta è l’impalpabilità del suo fondamento”. Così scrive Elémire Zolla in “Verità segrete esposte in evidenza”. Ma questa impercettibilità diviene ancora più evidente nel bitcoin, la moneta virtuale ora disponibile anche a Roma, e il cui “fondamento” suscita già tanti interrogativi e altrettanti timori. Ed è chiaro: al di là dei tecnicismi, non solo il nuovo fa paura, ma tanto più se si sviluppa in un contesto per sua natura impalpabile qual è la rete, con i suoi lati oscuri, o controllati chissà da chi.
E tuttavia, trattandosi pur sempre di acquisti e di scambi, il punto è: quanto costa questa incertezza? Quale è il prezzo di questa paura? Detta altrimenti: non saranno proprio questi aspetti della cripo-moneta a rendere convenienti gli acquisti in rete, abbassando il valore di merci e servizi? Dietro all’eventuale sconto e alle relative questioni di marketing, il fatto è che i bitcoin esistono già in diversi punti del mondo, croce e delizia dei potenziali consumatori globali, quando non sono addirittura banditi.
Se n’è scritto parecchio, però senza troppe certezze. Si sa per esempio che sono stati inventati nel 2009 da un certo Satoshi Nakamoto, ma per anni non è apparso chiaro se si trattasse di un personaggio reale o uno pseudonimo, o se dietro si nascondesse addirittura un collettivo di persone. Finché Neewsweek, di recente, ha annunciato di averlo scovato in California: il “genio” – che tuttavia non conferma -sarebbe un sessantaquattrenne nippoamericano con la passione per i trenini.
E’ noto anche che la governance e i controlli sono carenti, circostanza che preoccupa diverse banche centrali e allarma l’Eba, l’autorità bancaria europea mentre la Fed dell’allora presidente Bernanke diceva che sì, le valute digitali comportano rischi di riciclaggio ma, se ben regolamentate, in certe aree possono essere “una promessa”. S’è letto anche che che il check attualmente esistente sul mondo della cripto-moneta ha solo un carattere partecipativo e incrociato, si potrebbe dire, nel senso che gli stessi utenti alla fin fine si auto-controllano. Ma qualcosa lascia pensare che proprio questa “libertà” di scambio- anonima, senza vincoli o imposizioni dall’alto- sia alla base del successo dei bitcoin: Time e Businessweek gli hanno dedicato una copertina.
Abbondano persino gli imitatori, o cloni: almeno 80 secondo una inchiesta del Wall Street Journal, addirittura 100 nei calcoli della Cnn. Dal che si deduce che, come molte cose di questo tempo, si espandono secondo una logica virale che però può farsi epidemica.
E in Italia cresce l’economia alternativadi GLORIA BAGNARIOL
ROMA – Riparare il lavandino rotto, fare la spesa, comprare cento stampanti. Tutto senza tirare fuori un’euro. Niente di eversivo o utopico, realtà dell’Italia anno 2014. Merito di criptovalute, monete complementari, baratti digitali, banche del tempo 2.0. Sistemi che grazie alla tecnologia e all’ingegno provano a disegnare un’economia differente. Ogni giorno nascono nuove sperimentazioni in tutti gli angoli del mondo e anche l’Italia partecipa a questo boom dell’altra economia. Tra i protagonisti indiscussi Sardex. net, un’azienda sarda nata nel 2007 (operativa dal 2009) che ha inventato un conio alternativo, pesso definito come “il bitcoin italiano” anche se Carlo Mancosu, uno dei suoi ideatori, prende le distanze: “Si tratta di realtà molto differenti, innanzitutto i sardex non sono convertibili e cumulabili”.
Cosa sono quindi? “Una moneta che ricostruisce i rapporti fiduciari. Con i sardex non ci si può arricchire – spiega Mancosu – hanno senso solo se scambiati, se passano di mano in mano. Se rimangono nel portafoglio virtuale perdono tutto il loro valore”. Il sistema si basa su ‘crediti di fiducia’ piuttosto che su tassi di interesse e debiti. Funziona così: un’azienda che sceglie di entrare nel circuito acquista una merce per un valore, ad esempio mille euro, e invece di pagarla effettua l’acquisto in sardex, questo significa che il suo conto si abbasserà di mille sardex. Per pareggiarlo dovrà vendere i propri prodotti ad altri imprenditori in sardex.
“La crisi finanziaria non corrisponde a una crisi di produzione, quando abbiamo iniziato a lavorare sulla nostra startup volevamo trovare un modo per ridare valore alle imprese. Oggi teniamo insieme una rete di 1500 aziende, quattro anni fa erano 250”, aggiunge Mancosu. Un esperimento che ha fatto da apripista a molti altri: Sicanex, Piemex, Emiro, Lumbard, solo per citarne alcuni. Praticamente in ogni regione di Italia circola o è in fase di studio una valuta virtuale da affiancare all’euro. Un sistema che permetta ad aziende e famiglie di continuare a scambiare prodotti senza indebitarsi.
“Tutti questi sono tentativi di resistere alla crisi, ma anche di creare orizzonti diversi” secondo Gaetano La Legname, segretario nazionale dell’Arcipelago Scec, un sistema di baratto evoluto che ha come obiettivo quello di “restituire potere d’acquisto alle famiglie”. Gli Scec sono tecnicamente uno “sconto incondizionato” ossia un buono d’acquisto – fisico, tangibile, niente di virtuale – che, presentato al produttore iscritto alla rete dà diritto al consumatore ad avere una riduzione sul prezzo. Se per esempio abbiamo un conto scec (si può aprire gratuitamente in molte ‘isolè sul territorio) possiamo fare la spesa risparmiando circa il 20%. Per esempio possiamo pagare le ciliegie 6 euro e 2 scec e non 8 euro. Il commerciante incasserà lo sconto e lo utilizzerà per nuovi acquisti. E la convenienza? “Semplice – spiega La Legname – i ricavi rimangono nel territorio e le famiglie sono incoraggiate a spendere. Ma non è solo questo, gli scec non sono solo un sistema econometrico, sono piuttosto uno strumento culturale: bisogna ripartire da un’economia più sobria che metta al centro le persone e non il metallo delle monete”.